L'opzione Benedetto

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L’Opzione Benedetto di Rod Dreher perché la vita della Chiesa locale nelle Unità Pastorali conservi una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione in un mondo culturalmente post-cristiano
Quando Benedetto XVI nel 2006 venne a Verona per il IV Convegno Ecclesiale Nazionale affermò: “L’Italia … costituisce ancora un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui attraverso le parrocchie è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione”. Come far sì che ciò
avvenga anche con le Unità Pastorali in una cultura post – cristiana come è avvenuto nel V secolo con san Benedetto?
Sto leggendo L’Opzione Benedetto di Rod Dreher per una strategia per i cristiani in un mondo egemonizzato dalla drammatica frattura tra Vangelo e cultura, post –cristiano. Mi ha sempre fatto impressione l’affermazione che “ci vuole un intero villaggio per far crescere un bambino”. Fondamentale la famiglia ma occorre una comunità che condivida la fede e i valori per l’educazione dei figli. Quando i figli escono di casa per andare a giocare con i ragazzi del quartiere occorre che la cultura presente in casa non venga minata dalle compagnie. Dio ci ha creato perché fossimo esseri socievoli e la fede pienamente accolta, vissuta e pensata insieme diviene continuamente cultura capace di far fronte in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenire superfluo ed estraneo. Gesù ci dice che tutta la legge e i profeti si riassumono nel fatto che dovremmo amare il Signore nostro Dio con tutto il cuore, tutta la nostra anima e tutta la nostra mente, e amare il nostro prossimo come noi stessi, anzi come Lui ci ama attraverso il dono sacramentale del suo amore. Ne prendiamo coscienza idealmente con la Sua Parola, concretamente in una comunità in parrocchia o oggi nell’Unità Pastorale dove amare gli altri e lasciarci amare come Lui ci ama. A meno che non si riceva la rara chiamata ad essere un eremita occorre impegnarsi in una famiglia e in una famiglia delle famiglie. La fede è come una lingua: può accadere solo comunitariamente, a cominciare dalla comunità della famiglia. Quando sia la comunità della famiglia sia la comunità parrocchiale si frammentano e falliscono, la trasmissione della fede e della conseguente cultura cristiana alla generazione successiva diventa molto più difficile. Basta che una sola generazione non trasmetta una tradizione, perché quella scompaia dalla vita di una famiglia e, di rimando, di una comunità e quindi della società. Il Logos, il Verbo del Padre continua l’incarnazione in  comunità concrete e non basta un rapporto ideale con Lui attraverso l’ascolto della Parola di Dio, pur fondamentale.
Ormai nella drammatica frattura tra Vangelo e cultura le principali minacce all’integrità delle famiglie e delle comunità nelle Unità Pastorali non possono essere efficacemente affrontate attraverso la politica, pur con la sua importanza. Oggi tale aspettativa non è reale e non va messa al primo posto. Se può esserci un rinnovamento autentico, dovrà accadere nelle famiglie e in comunità ecclesiali a livello locale di Unità pastorali. Quando il rapporto tra la persona e il Donatore divino è soggettivo, interiore (come in Lutero) o si manifesta in atti e logica senza tempo (come in Calvino) il rapporto non concretamente mediato, temporale,  ecclesiale con Cristo, non avviene. La stessa libertà religiosa dipende da concrete comunità religiose forti. I despoti non si sono mai preoccupati della fede confinata silenziosamente nella mente degli individui, senza rilevanza comunitaria visibile. E’ sempre stata una religione quale comunità, o piuttosto quale pluralità di comunità oggi in Unità Pastorali che ha sempre suscitato e oggi suscita rappresaglie in movimenti anti-cristiani, in  governanti impegnati nell’esercizio secolare della tirannia politica di uno stato etico attraverso la sola scuola di stato anziché la libertà di educazione anche attraverso la scuola delle famiglie.
Il rafforzamento della famiglia in comunità locali concrete, e dei legami tra loro e la Chiesa nella Unità Pastorali, richiede di scuotere la passività dei fedeli di fronte anche alla scarsità dei sacerdoti. Certo è irrealistico aspettarsi di vivere altrettanto intensamente quanto hanno fatto i monaci fin dal V° secolo sotto la Regola di san Benedetto. Ma l’Opzione Benedetto, proposta da Rod Dreher nella sua concreta esperienza di convertito aiuta  a tenersi reciprocamente uniti nella pluralità di parrocchie. Con l’egemonia individualista della cultura secolare contemporanea non possiamo illuderci dal presupposto che tutto si risolverà  seguendo semplicemente la nuova corrente.
Chi pensa di attingere anche dall’Opzione Benedetto ha tanto da imparare dagli ebrei ortodossi, nostri fratelli maggiori nella fede, che nel corso di millenni hanno affrontato tentativi orrendi di distruggere le loro famiglie e le loro comunità.
I cristiani che puntano a non essere travolti dall’ondata di illuminismo e laicismo statalista per cui razionalmente valido sarebbe solo ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale per cui Dio rimane escluso dalla cultura attraverso la scuola di stato e dalla vita pubblica,  necessitano di una dedizione schietta, rimboccandosi le maniche per creare profonde strutture comunitarie nelle Unità Pastorali guidate da chi è consacrato ad agire in persona di Cristo per la presenza eucaristica e sacramentale. In questa nuova situazione pastorale che necessita di una concentrazione chirurgica di fronte ad abitudini precedenti urge un impegno molto deciso alla crescita di ogni famiglia e nello sviluppo di comunità di famiglie fino a sviluppare scuole della famiglia in alternative a scuole di stato etico.

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