La parola transustanziazione

Ascoltando il Canone Romano, cuore dell’Eucaristia della Chiesa a Roma, per prima cosa che si affaccia a noi è la parola transustanziazione
Traggo da Fede, Ragione, Verità e Amore di Joseph Ratzinger pp. 374-377
“Che cosa è veramente accaduto nella notte in cui Cristo fu tradito? Ascoltiamo al riguardo il Canone Romano. Il cuore dell’”Eucaristia” della Chiesa a Roma: ‘La vigilia della sua
passione Gesù prese il pane nelle sue mani sante e venerabili, elevò gli occhi al cielo, a te, Dio Padre onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli e disse loro: prendete e mangiatene tutti. Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. E dopo la cena allo stesso modo prese questo prezioso calice nelle sue mani sante e venerabili, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse: prendete e bevetene tutti. Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Che cosa accade qui in queste parole? Per prima cosa si affaccia a noi la parola transustanziazione. Il pane diventa il corpo, il suo corpo. Il pane della terra diventa il pane di Dio, la “manna” del cielo, con la quale Dio nutre gli uomini non solo nella vita terrena ma anche nella prospettiva della resurrezione; che prepara la resurrezione, anzi, già la fa iniziare. Il Signore, che avrebbe potuto trasformare le pietre in pane, che poteva suscitare dalle pietre figli di Abramo, volle trasformare il pane nel corpo, nel suo corpo. 
Ma è possibile questo? E come può avvenire? Gli interrogativi, che la gente ha posto nella sinagoga di Cafarnao, non possono essere evitati neppure da noi. Egli è lì, davanti ai suoi discepoli, con il suo corpo; come può Egli dire sul pane: questo è il mio corpo? E’ importante ora fare bene attenzione a ciò che il Signore ha veramente detto. Non dice semplicemente: questo è il mio corpo; ma: questo è il mio corpo che è donato per voi. Esso può divenire dono perché è donato. Per mezzo dell’atto della donazione esso diviene capace di comunicazione come trasformato esso stesso in un dono. La medesima cosa la possiamo osservare nelle parole sul calice. Cristo non dice semplicemente: questo è il mio sangue; ma: questo è il mio sangue che è versato per voi. Poiché esso è versato, in quanto è versato, può essere donato.
Ma ora emerge la nuova domanda: che cosa significa “è donato”, “è versato”? Che cosa accade qui? In verità, Gesù viene ucciso, viene appeso alla croce e muore fra i tormenti. Il suo sangue viene versato, dapprima già nell’orto degli ulivi per il travaglio interiore a riguardo della sua missione, poi nella flagellazione, nell’incoronazione di spine, nella crocefissione e dopo la sua morte nella trasfissione del cuore. Ciò che qui accade è innanzitutto un atto di violenza, di odio che tortura e distrugge.
A questo punto ci imbattiamo in un secondo, più profondo livello di trasformazione: Egli trasforma dall’interno l’atto di violenza degli uomini contro di Lui in un atto di donazione in favore di questi uomini, in un atto di amore. L’atto dell’uccisione, della morte viene trasformato in amore, la violenza è vinta dall’amore. Questa è la trasformazione fondamentale sulla quale si basa tutto il resto. È la trasformazione, di cui il mondo ha bisogno e che sola può redimere il mondo. Poiché Cristo in un atto di amore ha trasformato e vinto dall’interno la violenza, la morte stessa è trasformata: l’amore è più forte della morte. Esso rimane in eterno. E così in questa trasformazione è contenuta la trasformazione più ampia della morte in risurrezione, del corpo morto nel corpo risorto. Se il primo uomo era un’anima vivente, così dice san Paolo, il nuovo Adamo, Cristo, diverrà in questo evento spirito datore di vita (1 Cor 15, 45).
Il risorto è donazione, è spirito che dà la vita e come tale comunicabile, anzi, comunicazione. Ciò significa che non si assiste a nessun congedo dalla materia, anzi, in questo modo essa raggiunge il suo fine: senza l’evento materiale della morte e il suo interiore superamento tutto questo insieme di cose non sarebbe possibile. E così nella trasformazione della risurrezione tutto il Cristo continua a sussistere, ma ora trasformato in tal modo che l’essere corpo e il donarsi non si escludono più, ma sono implicati l’uno nell’altro. 
Cerchiamo, prima del prossimo passo, di vedere sinteticamente ancora un volta e di comprendere tutto questo complesso di realtà. Nel momento dell’Ultima Cena Gesù anticipa già l’evento del Calvario. Egli accoglie la morte di croce e con la sua accettazione trasforma l’atto di violenza in un atto di donazione, di auto-effusione (“Il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede”, dice Paolo a partire da qui e a proposito del suo imminente martirio: Fil 2, 17). Nell’Ultima Cena la croce è già presente, accettata e trasformata da Gesù. Questa prima e fondamentale trasformazione attira a sé il resto; il corpo mortale viene trasformato nel corpo della risurrezione: nello “spirito che dà la vita”.
A partire da qui diviene possibile la terza trasformazione: i doni del pane e del vino, che sono doni della creazione e insieme frutto del lavoro umano e “trasformazione” della creazione, vengono trasformati, così che in essi diviene presente il Signore stesso che si dona, la sua donazione, Egli stesso, poiché Egli è dono. L’atto di donazione non è qualcosa di Lui, ma è Lui stesso. A partire da qui lo sguardo si apre su due ulteriori trasformazioni che sono essenziali nell’Eucaristia fin dall’istante della sua istituzione: il pane trasformato, il vino trasformato, nel quale il Signore stesso si dona come spirito che dà la vita, è presente per trasformare noi uomini, così che noi diveniamo un solo pane con Lui e poi un solo corpo con Lui. La trasformazione dei doni, che è il proseguimento delle trasformazioni fondamentali della croce e della risurrezione, non è il punto finale, ma a sua volta solo un inizio. Il fine dell’Eucaristia è la trasformazione di coloro che la ricevono nell’autentica comunione con la sua trasformazione. E così il fine è l’unità, la pace, che noi stessi da individui separati che vivono gli uni accanto agli altri o gli uni contro gli altri, diveniamo con Cristo e in Lui un organismo di donazione, per vivere in vista della risurrezione e del nuovo mondo. 
Diviene così visibile la quinta e ultima trasformazione, che caratterizza questo sacramento: attraverso di noi, i trasformati, divenuti un solo corpo, un solo spirito che dà la vita, tutta quanta la creazione deve essere trasformata. Tutta quanta la creazione deve divenire “una nuova città”, un nuovo paradiso, dimora vivente di Dio: Dio tutto in tutti (1 Cor 15, 28); così Paolo descrive il fine della creazione, che deve configurarsi a partire dall’eucaristia.
Così l’eucaristia è un processo di trasformazione nel quale noi veniamo coinvolti, forza di Dio per la trasformazione dell’odio e della violenza, forza di Dio per la trasformazione del mondo. Vogliamo dunque pregare perché il Signore ci aiuti a viverla e a celebrarla in questo modo. Vogliamo pregare perché Egli trasformi noi e il mondo insieme con noi nella nuova Gerusalemme”.
Questa descrizione di transustanziazione dell’Eucaristia di Joseph Ratzinger, come sacramento delle trasformazioni, si rifà innanzitutto al cuore dell’Eucaristia che nel Canone Romano ripete gli stessi gesti e le stesse parole che Gesù fece nell’Ultima Cena istituendo il rito e che san Paolo nella lettera ai Corinti descrive come gli veniva trasmesso senza modificare alcuna parola e alcun gesto. Questo dato biblico della parola del Signore è il fondamento di tutta la continuità nella Tradizione liturgica. Ma cogliere cosa accade nel cuore della liturgia, cioè nella consacrazione, è una maturazione che sotto l’azione dello Spirito è avvenuta in continuità nella Tradizione, cioè nel dogma che è la scienza della fede maturata nella Chiesa e accolta definitivamente e che deve essere a fondamento di tutte le riflessioni teologiche. Il come accade nella scienza dogmatica è legato alla parola transustanziazione che il Concilio di Trento ha definito “aptissima”, avviando nella consacrazione il suono del campanello. Fu san Carlo Borromeo a proporlo rifacendosi alle Constitutiones del Giberti vescovo di Verona, perché la consacrazione da parte del presbitero che agisce in persona di Cristo, fosse il centro di tutta la celebrazione eucaristica. Anche nella riforma liturgica Paolo VI ha voluto che la formula della consacrazione, già presente in san Paolo come trasmessa fedelmente e in tutta la Tradizione, fosse scritta nel messale in corsivo in tutti i canoni. Questo ci dice la sua intangibilità.

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