Ascensione 2017

In fervida attesa del dono dello Spirito Santo, promesso da Gesù fin dalla prima Pentecoste
In questi quaranta giorni di Pasqua abbiamo rivissuto sacramentalmente il periodo limitato delle apparizioni del Risorto per raccogliere una cerchia di discepoli che potessero testimoniare che Gesù non è rimasto nel sepolcro, il suo corpo non è finito in polvere, ma che è vivo alla destra
del Padre, fuori del tempo e dello spazio e continua a farsi presente sacramentalmente in ogni tempo e luogo. Luca  ci fa rivivere come Gesù appare agli apostoli, insieme ai due discepoli di Emmaus, mangia con loro e dà alcune istruzioni. Le ultime frasi del Vangelo dicono: “Poi li condusse fuori verso  Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e portato su nel cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui: è poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (24,50-53).
Questa conclusione ci stupisce. Luca dice che i discepoli erano pieni di gioia dopo che il Signore si era allontanato definitivamente da loro nel modo che l’avevano incontrato prima della morte e con le apparizioni. Noi ci aspetteremo il contrario. Ci aspetteremo che essi fossero rimasti sconcertati e tristi. Il mondo non era cambiato, Gesù si era definitivamente allontanato da loro. Avevano ricevuto un compito apparentemente irrealizzabile, un compito che andava al di là delle loro forze. Come potevano presentarsi davanti alla gente in Gerusalemme, in Israele, in tutto il mondo e dire: ”Quel Gesù, apparentemente fallito, è invece il Salvatore di tutti noi, da incontrare e accogliere sacramentalmente per essere trasformati in Lui, vivere in Lui e di Lui attraverso il dono di ciò che di più intimo, di più proprio c’è in Lui, il suo stesso Spirito filiale?” Ogni addio lascia dietro di sé un dolore. Anche se Gesù era partito da Persona viva dopo morte, con i segni della crocefissione, come poteva non renderli tristi il suo congedo definitivo anche con le apparizioni rapportate al sepolcro vuoto? Eppure si legge che essi tornarono a Gerusalemme con grande gioia avendo capito il discorso è meglio che io me ne vada, ritornerò attraverso il dono del mio Spirito, vi raggiungerò con la mia Parola e mi farà presente sacramentalmente e lodavano Dio. Come possiamo noi capire ed esserne interessati per incontralo oggi?
Nei suoi discorsi di addio ai discepoli, Gesù ha  molto insistito sull’importanza del suo “ritorno al Padre”, coronamento di tutta la sua missione: Egli è venuto nel mondo per riportare l’uomo a Dio, non sul piano ideale – come un filosofo o un maestro di saggezza morale – ma realmente, quale pastore che vuole ricondurre le pecore all’ovile, i prodighi alla casa del Padre. Questo “esodo” verso la patria celeste, che Gesù ha vissuto in prima persona, l’ha affrontato totalmente per ciascuno di noi. E’ per noi che è disceso dal Cielo assumendo un volto umano nel grembo verginale di Maria ed è per noi che vi è asceso, dopo essersi fatto in tutto simile agli uomini, umiliato fino alla morte di croce, e dopo aver toccato l’abisso della massima lontananza da Dio rivelando l’altezza, la profondità, la larghezza, la lunghezza dell’amore di Dio per l’umanità nel suo insieme e per ciascuno, per me. Proprio per questo il Padre si è compiaciuto in Lui e lo ha “sovra esaltato” (Fil 2,9), restituendogli la pienezza della sua gloria, ma ora con l’umanità. Dio nell’uomo – l’uomo in Dio: questa è ormai una verità non teorica ma reale. Perciò la speranza cristiana affidabile non è un’illusione ma, come dice la Lettera agli Ebrei, “in essa noi abbiamo come un’ancora della nostra vita” (Eb 6,19), un’ancora che penetra nel Cielo dove Cristo ci ha preceduto e preparato un posto. La gioia dei discepoli è perché l’”ascensione” non è un  andarsene in una zona lontana del cosmo, ma è la vicinanza permanente che i discepoli, noi, sperimentiamo in modo così forte da trarne una gioia durevole.

E di che cosa ha più bisogno l’uomo di ogni tempo, noi oggi, se non di questo: di un saldo ancoraggio, di un’esperienza affidabile per la propria esistenza mortale? Ecco il senso stupendo della presenza di Maria in mezzo a noi dataci da Lui come Madre, già viva anche con il suo corpo come Lui, segno di speranza affidabile e di consolazione. Volgendo lo sguardo verso di Lei, come i primi discepoli, siamo immediatamente rinviati alla realtà, alla presenza, all’azione sacramentale di Gesù: la Madre rimanda sempre al Figlio, che non è più fisicamente tra noi ma lo è con la Parola e sacramentalmente e ci attende nella casa del Padre. Lui ci invita a non restare a guardare in alto, ma a stare insieme uniti nella preghiera, per invocare lo Spirito Santo: vieni Spirito Santo, vieni per Maria. Solo infatti a chi “rinasce dall’alto”, cioè dallo Spirito di Dio, è aperto all’ingresso nel Regno dei cieli (Gv 3,3-5), e la prima “rinata dall’alto” è proprio la Vergine Maria. A lei pertanto ci rivolgiamo nella pienezza della gioia pasquale.   

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