Preghiera 76

Preghiera di liberazione, guarigione, consolazione contemplando Gesù sulla Croce e meditando le sue ultime parole

Madonna della Salute Dossobuono lunedì 3 aprile 2017 18,30 – 20,30
Canto di esposizione (67) Hai nascosto in Croce la divinità sull’altar veli pur l’umanità; Uomo – Dio la fede ti rivela a me, come al buon ladrone dammi un giorno il ciel.
Anche se le piaghe non mi fai toccar grido con Tommaso: “Sei il mio Signor”; cresca in me la fede, voglio in te sperar pace trovi il cuore solo nel tuo amor.
Sei ricordo eterno che morì il Signor pane vivo, vita, tu diventi
in me. Fa che la mia mente luce attinga a te e della manna porti il gusto in sé.
Come il pellicano nutri noi di te; dal peccato grido: “Lavami, Signor”. Il tuo sangue è fuoco, brucia il nostro error, una sola stilla, tutti può salvar.
Ora guardo l’Ostia, che ti cela a me, ardo dalla sete di vedere te: quando questa carne si dissolverà, il tuo viso, luce, si disvelerà. Amen
La prima parola di Gesù sulla croce: “Padre perdona loro”
 Contemplare Gesù sulla croce, con davanti il crocefisso, assimilando, pregando con le sue parole è il modo più efficace per la liberazione, per la guarigione, per la consolazione nel vissuto, nelle relazioni fraterne. Farlo insieme davanti alla sua presenza eucaristica che attualizza sacramentalmente nella Messa quello che è avvenuto allora sul Calvario ha una grande efficacia se fatto con fede.
La prima parola di Gesù sulla croce, pronunciata quasi ancora durante l’atto di crocefissione, è la richiesta del perdono per coloro che lo trattano così: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” ( Lc 23,34). Ciò che il Signore ha predicato nel discorso della montagna lo compie qui personalmente. Egli, pur denunciando l’atto orribile, non giudica la persona che lo crocefigge e quindi non conosce alcun odio, nessuna esclusione. Non grida vendetta verso coloro che lo crocefiggono. Implora perdono per quanti lo mettono in croce e motiva questa richiesta anche sull’infinitesimo della discolpa: “Non sanno quello che fanno”.
Questa parola riguardo all’ignoranza ritorna poi nel discorso di san Pietro negli Atti degli Apostoli. Egli ricorda alla folla riunitasi dopo la guarigione nel nome di Gesù dello storpio nel portico di Salomone innanzitutto: “Voi avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti” (3,14s), come primizia della nostra risurrezione per l’attesa della quale sentiamo necessario giudicare e fare tutte le nostre scelte morali personali ed etiche sociali per essere già sereni e sicuri nel già di questa vita in  attesa del di più di felicità che giungerà a compimento oltre la morte.
Prima di ogni preghiera personale e comunitaria perché possa essere efficace dobbiamo pulire il nostro intimo da ogni atteggiamento di pensieri, volontà e sentimenti, di peccato, di giudizio e di rottura verso il prossimo soprattutto verso chi ci può aver fatto del male: è condizione per pregare con efficacia. E questo ricordando che noi stessi abbiamo peccato come san Paolo che ricorda di essere stato lui stesso “un bestemmiatore, un persecutore e un violento”; poi però prosegue: “Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede” (1 Tm 1,13). A livello visibile è la situazione della maggior parte della gente oggi. In considerazione del suo precedente orgoglio di perfetto alunno della Legge, che conosceva con l’illusione di poter adempire la Scrittura farisaicamente solo con le proprie forze, con il proprio vanto senza l’aiuto del Dio che ha assunto un volto umano, questa è una parola dura: egli che aveva studiato con i maestri migliori e poteva reputare se stesso un vero scriba, un vero intellettuale, migliore degli altri, guardandosi indietro deve ora riconoscere di essere stato ignorante, un sepolcro imbiancato apparendo di più di quello che era. Ma per la misericordia in Gesù Cristo è stato proprio l’ignoranza a salvarlo e a renderlo capace di conversione, di cambiamento di mentalità e quindi di perdono. Si tratta di un sapere orgoglioso che resta autosufficiente e così, senza umiltà e carità, non raggiunge la verità stessa che dovrebbe trasformare, ricreare l’uomo. 
In un’altra maniera ancora appare lo stesso intreccio tra sapere ed ignoranza nel racconto dei Magi provenienti dall’Oriente. I capi dei sacerdoti e gli scribi sanno precisamente dove il Messia dovrebbe nascere. Ma non lo riconoscono, non si muovono. Sapienti orgogliosi, pieni di se stessi, rimangono ciechi (Mt 2,4-6). Oggi lettori quotidiani di giornali, uditori di telegiornali senza aver tempo di pregare ogni girono con il Vangelo, esser monaci per se stessi!
E’ ovvio che questo insieme di sapere ed ignoranza. Di conoscenza materiale e profonda incomprensione, esiste in tutti i tempi ma oggi è accentuata. Perciò la parola di Gesù riguardo all’ignoranza, con le sue applicazioni nelle diverse situazioni della Scrittura, deve anche, proprio oggi, scuotere i presunti sapienti. Non siamo forse ciechi di verità proprio sapendo tante cose? Non siamo forse, proprio a causa del nostro sapere, incapaci di riconoscere la verità del nostro e altrui essere dono del Donatore divino, come di tutto il mondo che ci circonda? Non ci sottraiamo forse al dolore provocato dalla verità che ci trafigge il cuore – quella verità di cui Pietro ha parlato nella sua predica di Pentecoste? Certo l’ignoranza riduce la colpa e lascia aperta la via della conversione. Ma non è semplicemente una scusante, perché rivela al tempo stesso un’ottica ottusità del cuore, un’ottusità che resiste all’appello della verità che il serpente antico, il Maligno provoca oscurando la coscienza. A maggior ragione rimane una consolazione per tutti i tempi e per tutti gli uomini il fatto che il Crocefisso, a riguardo sia di coloro che veramente non sapevano e lo avevano condannato, pone l’ignoranza quale motivo della richiesta al Padre del perdono – contemplando il Crocefisso si riapre la porta alla conversione, quindi alla liberazione, alla guarigione, alla consolazione.
(311) R) Signore ascolta: Padre perdona! Fa’ che vediamo il tuo amore.
1. A te guardiamo, Redentore nostro, da te speriamo gioia di salvezza. Fa che troviamo grazia di perdono. R) Signore …
2. Ti confessiamo ogni nostra colpa, riconosciamo ogni nostro errore e ti preghiamo: dona il tuo perdono. R) Signore…
3. O buon Pastore, tu che dai la vita; parola certa, roccia che non muta: perdona ancora, con pietà infinita. R) Signore… 
Gesù deriso
Appaiono nel Vangelo tre gruppi di beffeggiatori. Come primi, i passanti. Essi ripetono al Signore la parola riguardante la distruzione del tempio che si era diffusa: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo costruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!” (Mc 15,29s), fa spettacolo, imponiti facendo cose straordinarie come lo aveva tentato nel deserto il Diavolo. Le persone che si fanno beffe del Signore, esprimono con ciò il loro disprezzo per l’impotente crocefisso che punta ad attirare con amore senza imporre, gli fanno sentire di più la sua impotenza cioè l’apparente impotenza immediata della via della persuasione, dell’amore. Al tempo stesso vogliono indurlo in tentazione, come aveva già fatto il Diavolo nel deserto: “Salva te stesso!”. Serviti del tuo potere. Non sanno che proprio in questo momento si realizza la distruzione del tempio voluto da Dio in preparazione della incarnazione di Dio in un volto umano e che risorto, asceso al cielo con il farsi sacramentalmente presente in continuità, in tal modo si forma il nuovo tempio del suo corpo trasfigurato con la risurrezione che si fa sacramentalmente presente tra i suoi, suo corpo che è la Chiesa, il nuovo Tempio.
Alla fine della passione, con la morte di Gesù, il velo del tempio si squarcia  in due – così raccontano i sinottici – da cima a fondo (Mt 27,51; Mc 15,38; Lc 23,45). Probabilmente s’intende, dei due veli del tempio, quello interno, quel velo cioè che impedisce alla gente l’accesso al Santo dei Santi. Una sola volta all’anno il sommo sacerdote può passare attraverso il velo, comparire al cospetto dell’Altissimo e pronunciare il santo nome di Lui.
Adesso, nel momento della morte di Gesù, questo e lo si squarcia da cima a fondo. Con ciò si allude a due cose: da una parte diventa evidente che l’epoca del vecchio tempio e dei suoi sacrifici è finita; al posto dei simboli e dei riti, che rimandavano al futuro, subentra ora la realtà stessa, il Gesù crocefisso che riconcilia tutti noi con il Padre attualizzando sacramentalmente il Calvario in ogni tempo e luogo con la celebrazione eucaristica che rende tempio ogni luogo. Ma al contempo, lo squarciarsi del velo del tempio significa che ora è aperto a tutti l’accesso a Dio. Fino a quel momento il volto di Dio era stato velato. Solo mediante segni e una volta all’anno il sommo sacerdote poteva comparire davanti a Lui. Ora Dio stesso assumendo un volto umano ha tolto il velo, nel Crocefisso si è manifestato e si manifestato come Colui che ama fino al perdono, fino alla morte facendola passare come l’esodo alla vita veramente vita. L’accesso a Dio è libero.
(190) In te la nostra gloria, o croce del Signore. Per te salvezza e vita nel sangue redentor. R) La Croce di Cristo è nostra gloria, salvezza è risurrezione.
IL secondo gruppo di beffeggiatori è composto dai membri del sinedrio. Matteo menziona tutti e tre i raggruppamenti: sacerdoti, scribi e anziani. Essi formulano la loro espressione di scherno in connessione con il Libro della Sapienza, che nel secondo capitolo parla del giusto che è di ostacolo alla vita malvagia degli altri, chiama se stesso figlio di Dio e viene consegnato alla sofferenza (Sap 2,10-20). Riallanciandosi a quelle parole, i membri del sinedrio dicono adesso a Gesù: ”E’ il re di Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!” (Mt 27,42s; Sap 2,18). Senza accorgersene, gli schernitori riconoscono con ciò che Gesù è veramente Colui di cui parla il Libro della Sapienza. Proprio nella situazione dell’esteriore impotenza, Egli si rivela come il vero Figlio di Dio che nella sua realtà umana non cede alla tentazione di imporsi facendo spettacolo o chiedendo per sé miracoli dal Padre.
Possiamo aggiungere che il Libro della Sapienza conoscendo  forse l’esperimento mentale di Platone, che nella sua opera sullo Stato prova ad immaginare quale destino sarebbe riservato in questo mondo al giusto perfetto e giunge alla conclusione che egli sarebbe crocifisso (Politeia II, 361e-362°). Il Libro della Sapienza ha forse ripreso questo pensiero del filosofo, lo ha introdotto nell’Antico Testamento, e ora tale pensiero rilancia direttamente a Gesù. Proprio nella derisione il mistero di Gesù Cristo si dimostra vero. Come non si è lasciato indurre dal Diavolo a buttarsi giù dal pinnacolo del tempio (Mt 4,5-7; Lc 4,9-13), così ora non cede a questa tentazione. Egli sa: Dio stesso lo salverà – ma in maniera diversa da come qui questa gente lo immagina. La risurrezione sarà il momento in cui Dio lo libererà dalla morte e lo accrediterà come Figlio di Dio.
(315) Nell’ora della morte il Padre ti salvò. Trasforma la mia sorte: con te risorgerò. Contemplo la tua croce, trionfo del mio re, e chiedo la tua pace: Gesù pietà di me.
Il terzo gruppo di beffeggiatori è costituito da coloro che sono stati crocefissi insieme con Lui e che da Matteo e Marco sono caratterizzati con la stessa parola lestes (briganti)con cui Giovanni caratterizza Barabba (Mt 27,38; Mc 15,27; Gv 18,40). E’ chiaro che così essi sono qualificati come combattenti per la resistenza ai quali i Romani, per criminalizzarli, avevano dato semplicemente il titolo di “briganti”. Vengono crocifissi insieme con Gesù, perché dichiarati colpevoli dello stesso reato di resistenza contro il potere romano.
In Gesù, però, il genere di delitto è diverso che nei due, che forse avevano partecipato con Barabba alla sua risurrezione. Pilato sa bene che Gesù non aveva in mente una cosa di questo genere, e così, nell’iscrizione per la croce, definisce il “reato” in maniera particolare: “Gesù il Nazareno, il re die Giudei” (Gv 19,19). Fino a quel momento, Gesù aveva evitato il titolo di Messia o di re, ovvero l’aveva subito connesso con la sua passione (Mc 8,2731) per impedire interpretazioni errate. Ora il titolo di re può apparire davanti a tutti. Nelle tre grandi lingue di allora Gesù viene pubblicamente proclamato re.
E’ comprensibile che i membri del sinedrio si urtino per questo titolo in cui Pilato sicuramente vuole esprimere il suo cinismo contro le autorità giudaiche e, se pur in ritardo, vendicarsi di loro. Ma tale iscrizione che equivale ad una proclamazione a re sta ora davanti alla storia del mondo. Gesù è stato “elevato”. La croce, che rivela l’altezza, la lunghezza, la profondità dell’amore di Dio che attira e non costringe, è il suo trono, dal quale attira il mondo a sé, al suo amore. Da questo luogo dell’estremo dono di sé, da questo luogo di amore veramente divino, Egli dominò come il vero re, a modo suo – nel modo che né Pilato né i membri del sinedrio avevano potuto comprendere.
(86) R) Annunceremo il tuo Regno, Signor: il tuo Regno, Signor, il tuo Regno!
Regno di amore e di grazia, regno che è già nei nostri cuori. R) Annunceremo…
Non entrambi gli uomini crocifissi con Lui si associano alla derisione. Uno dei due intuisce il mistero di Gesù cioè la realtà divinamente umana. Sa e vede che il genere di “delitto” di Gesù era del tutto diverso; che Gesù era un non violento. E ora si accorge che quest’Uomo crocefisso con loro veramente rende visibile il volto di Dio, è Il Figlio di Dio in un volto umano. Così lo prega: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42), Regno che non è  un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno si fa presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge come per il buon ladrone. La risposta di Gesù, come è proprio di Dio, va oltre la richiesta. Al posto di un futuro indeterminato pone il suo “oggi”: “Oggi sarai con me nel paradiso” (23,43). Anche questa parola è piena di mistero cioè di amore divino-umano, ma vi mostra con sicurezza una cosa: Gesù sapeva di avviare con la croce una nuova storia di amore tra l’umanità e il Padre, una nuova e definitiva alleanza – che poteva promettere il “paradiso cioè ogni bene senza più alcun male per l’anima e per il corpo” già “oggi”, già in quell’ora. Sapeva di ricondurre ogni uomo, comunque ridotto nel paradiso dal quale era decaduto: in quella comunione con Dio, in quella nuova storia di amore con il Padre in cui è la vera salvezza di ogni uomo.
Così nella storia della devozione cristiana il buon ladrone è diventato l’immagine della speranza – la certezza consolante che la misericordia di Dio può raggiugerci anche nell’ultimo istante per tutti i peccati non ancora perdonati dal Sacramento della Riconciliazione, anzi, che dopo una vita sbagliata, la preghiera che implora la sua bontà non è vana. “Tu che hai esaudito il ladrone anche a me hai dato speranza”, prega ad esempio anche il Dies irae.
Il grido di abbandono di Gesù
Matteo e Marco ci raccontano concordemente che, all’ora nona, Gesù esclamò a gran voce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34). Essi trasmettono il grido di Gesù in una mescolanza di ebraico e di aramaico e lo traducono in greco. Questa preghiera di Gesù ha stimolato sempre nuovamente l’interrogarsi e il riflettere die cristiani: come poteva il Figlio di Dio essere abbandonato da Dio? Che cosa significa questo grido che fa parte del Vangelo? Non è un qualsiasi grido di abbandono. Gesù recita il grande Salmo di Israele sofferente e assume su di sé tutto il tormento non solo di Israele, ma di tutti gli uomini che soffrono in questo mondo per il nascondimento di Dio e per l’assalto continuo del Maligno. Egli porta davanti al cuore di Dio stesso attraverso la sua realtà umana il grido d’angoscia del mondo tormentato dall’assenza di Dio. Si identifica con l’Israele sofferente, con l’umanità che soffre a causa del “buio di Dio”, assume in sé il suo grido, il suo tormento, tutto il bisogno di aiuto e con ciò, al contempo, li trasforma in una possibilità meravigliosa.
Il Salmo 22 pervade tutto il racconto della passione e va al di là di esso. L’umiliazione pubblica, lo scherno e lo scuotere il capo da parte dei beffeggiatori, i dolori, la terribile sete, la trafittura delle mani e dei piedi, il sorteggio, pubblicamente denudato, dei vestiti – l’intera passione in tale Salmo è come raccontata in anticipo. Mentre Gesù prega le parole iniziali del Salmo è però, in ultima analisi, già presente il tutto di questa magnifica preghiera – anche la certezza dell’esaudimento che si manifesterà nella risurrezione, nel formarsi della “grande assemblea” e nell’appagamento della fame die poveri (vv.25ss). Il grido nell’estremo tormento è al contempo certezza della risposta divina, certezza della salvezza – non soltanto per Gesù stesso nel suo volto umano, ma per “molti” che la vivono con Lui.
Certo, sono parole molto personali in Gesù, sviluppatesi come uomo nella lotta con Dio, ma parole alle quali, tuttavia, sono associati in preghiera tutti i giusti che soffrono, tutto l’Israele, anzi l’intera umanità in lotta, e perciò la preghiera di questi salmi nel Venerdì Santo abbracciano sempre il passato, il presente e il futuro. Stanno nel presente della sofferenza e, tuttavia, portano in sé già il dono dell’esaudimento, della trasformazione come il racconto evangelico della Passione secondo Giovanni ci fanno vivere: oh la Liturgia del Venerdì Santo, il bacio del Crocefisso! E’ Cristo che prega insieme come Capo e come Corpo. Prega come “Capo” – come Colui che ci unisce tutti in un soggetto comune e ci accoglie tutti in sé. E prega come “Corpo”, ciò significa che la lotta di tutti contro il demonio che divide, Satana che ci spinge all’odio, il Serpente antico che ci oscura la coscienza, il Dragone contro la creazione, le nostre proprie voci, la nostra tribolazione che con gli anni può aumentare e la nostra speranza sono presenti anche nel Venerdì Santo. Noi stessi siamo oranti di questo Salmo in comunione con Cristo. E a partire da Lui, passato, presente e futuro sono sempre uniti: Oh la Celebrazione della Passione del Signore il Venerdì Santo!
Sempre di nuovo ci troviamo nell’abissale oggi della sofferenza. Sempre, però, anche la risurrezione e l’appagamento dei poveri avvengono già “oggi”, anche con la preghiera di liberazione, guarigione, consolazione.  In una tale prospettiva non viene cancellato niente dell’orrore della passione di Gesù e non dobbiamo diminuire il Venerdì santo per la veglia del Sabato santo. Al contrario: aumenta, perché non è soltanto individuale, ma porta realmente in sé la tribolazione di tutti noi, soprattutto di chi soffre di più. Ma al tempo stesso, com’è la celebrazione del Venerdì Santo, è una passione messianica – un soffrire di Gesù in comunione con noi, per noi; un essere – con che deriva dall’amore e così porta in sé la redenzione, la vittoria, il futuro dell’amore. Guardando la Madonna della salute, insieme preghiamo:
Ricordati, o Vergine Maria, che non si mai udito che alcuno sia ricorso al tuo patrocinio, abbia implorato il tuo aiuto, chiesto la tua protezione, e sia stato abbandonato. Sorretto da tale confidenza ricorro a te, Madre, Vergine delle vergini, Madonna della salute e mi umilio davanti a te, peccatore pentito. Madre del Verbo di Dio, accetta la mia preghiera di liberazione, di guarigione, di consolazione e propizia esaudiscimi .Benedizione eucaristica
Benedizione dell’acqua
Unzione sacramentale con l’olio benedetto
Celebrazione eucaristica

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