Il Regno di Dio è vicino

L’annuncio che il regno di Dio è vicino con l’invito alla conversione nel terzo mistero della luce

Dalla Lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae” Giovanni Paolo II ci ha offerto i cinque Misteri della luce”. “Passando dall’infanzia e dalla vita di Nazareth (contemplati nei Misteri della gioia)  alla  vita pubblica, la contemplazione ci porta su
quei misteri che si possono chiamare, a titolo speciale, ‘misteri della luce’. In realtà, è tutto il mistero di Gesù cioè di Dio che possiede un volto umano  che è luce. Egli è “la luce del mondo” (Gv 8,12). Ma questa dimensione emerge particolarmente negli anni della vita pubblica, quando Egli annuncia il Vangelo che il regno di Dio è vicino. Il suo regno non è un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente, si fa presente e il paradiso inizia già là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno senza perdere lo slancio della speranza del compimento oltre la morte corporale, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto, con tanti mali. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo tutti aspettiamo: la vita che è “veramente” vita con ogni bene senza più alcun male cioè il Paradiso.
Volendo indicare a chi prega con il Rosario cinque momenti significativi – misteri ‘luminosi’, della luce – di questa fase della vita di Gesù abbiamo visto la luce nel suo Battesimo, nella sua auto-rivelazione alle nozze di Cana con l’anticipazione dell’”ora” invocata da Maria e nel terzo mistero l’annuncio dell’avvento del Regno di Dio che si fa vicino e invita all’urgenza della conversione (Mc 1,15), lasciandosi perdonare accostandosi a Lui con umile fiducia (Mc 2, 3-13; Lc 7,47-48), inizio del ministero della misericordia che Egli continuerà ad esercitare fino alla fine del mondo, specie attraverso il sacramento della Riconciliazione affidato alla sua Chiesa (Gv,22-23) per tutti, soprattutto preparandosi con il cammino quaresimale alla veglia pasquale.
Dopo le nozze di Cana, come Mosè che salì sul monte per accogliere i pilastri della storia d’amore di Dio per l’umanità o Antica Alleanza cioè le Dieci Parole, i Comandamenti così Gesù nel “Discorso della Montagna”, che occupa i capitoli 5,6 e 7 del Vangelo di Matteo, proclama le “Beatitudini”, che sono il suo programma di vita, la nuova Legge o Nuova Alleanza, Nuova storia di amore di Dio con l’umanità, la sua Torah, come la chiamano i nostri fratelli ebrei. In effetti il Messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto portare anche la rivelazione definitiva della Legge, dei Profeti, ed è proprio ciò che Gesù dichiara con un passo importante del Discorso della Montagna, un passo che parla dell’adempimento della Legge, annunciando il suo Regno e la necessità della conversione.  Gesù dichiara di non essere venuto per abolire la Legge e i Profeti, ma per dare compimento, cioè portarci a una perfezione che nell’amore con Dio e al prossimo con cui obbedire ai Comandamenti va oltre le esigenze della Legge. E, rivolto ai discepoli, aggiunge: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei (preoccupati solo dell’osservanza esterna dei Comandamenti), non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,17.20). Ma in che cosa consiste questa “pienezza” della Legge di Cristo cui convertirci, e questa “superiore” giustizia della Nuova Alleanza che Egli attende da noi cristiani , che lui vuole donarci disposti attraverso la preghiera a cambiare mentalità e vissuto cioè convertendoci, una conversione continua, un cammino di tutta la vita?
Gesù innanzitutto è venuto a liberarci da tutte le paure e ci mostra la via della vera libertà senza la quale non può accadere l’amore con cui inizia il cento volte tanto di beatitudine, già il paradiso in questa vita, pur tra tante tribolazioni e difficoltà: è la via dell’adesione alla volontà  di Dio da cui viene solo il bene, dell’adesione alla sua Legge non soltanto esternamente, come da schiavi che subiscono, ma interiormente liberi cioè con amore. La vera libertà la si trova nell’amore con Dio e al prossimo e non c’è amore senza il rischio del libero arbitrio. Solo chi si sente amato, perdonato da Dio e ama, perdona diviene veramente libero, fa volentieri le cose necessarie indicate dai comandamenti; anzi fa anche di più di quanto è necessario, nel senso dell’amore, del farsi dono nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino, come di tutto il mondo che lo circonda. Gesù lo spiega mediante una serie di antitesi tra i comandamenti antichi e il suo modo di riproporli. Ogni volta inizia: “Avete inteso che fu detto agli antichi…”, e poi afferma: “Ma io vi dico…” con la stessa autorità di Dio. Ad esempio: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai mai l’innocente,  chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto a giudizio per il delitto”. Questo è un comandamento delle Dieci parole, del Decalogo sempre esigito  dall’amore e che rimane totalmente valido anche per Gesù. Ma Lui lo porta a compimento nel senso che richiede una decisione intima, ferma, positiva conto ogni movimento della volontà, del cuore, che vada nel senso dell’ostilità: “Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto a giudizio” (Mt 5,21-22). Gesù dunque ci propone di più della Legge, ci chiede di puntare attraverso la preghiera al dono della padronanza di noi stessi per non cedere interiormente, affettivamente alla collera, non cedere alla tentazione continua di definire il fratello dal suo comportamento sbagliato che giustamente dobbiamo vedere e non metterci sulla via della violenza, soprattutto dell’esclusione per non essere esclusi nel momento terminale della vita: si tratta di tentare e ritentare di rinunciare non solo alla violenza esterna, ma anche a quella interiore, non volendo, non accettando che nel nostro cuore nascano pensieri, desideri di violenza, di adulterio, di fornicazione, di appropriazione indebita e di indifferenza verso il povero che possiamo aiutare: magari esternamente corretti ma dentro…sepolcri imbiancati, un’immagine significativa di fedeltà esterna ma non interiore. Gesù è molto deciso su questo punto di accordo totale, puro con i propri fratelli; non accetta che viviamo in situazioni di incomprensioni, di liti, di disaccordi, e addirittura antepone la lotta contro tutte le forze di divisione alle offerte cultuali che presentiamo a Dio. L’atteggiamento, la tensione cui puntare è soprattutto interiore, conforme all’amore di Dio e del prossimo che ci viene donato nella preghiera: "Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla (contro la castità), ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Gesù ci chiede di puntare a un cuore veramente puro, libero da ogni cedimento a desideri egoistici, cattivi: ’Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da tè’. “Se presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”. Questo modo di parlare suscitava grande impressione nella gente, che rimaneva spaventata, perché quell’”io vi dico” equivaleva a rivendicare per sé la stessa autorità di Dio come sul Sinai, fonte della Legge. Ma la novità di Gesù, del Dio che possiede un volto umano consiste, essenzialmente, che Lui stesso non solo annuncia ma “riempie” i comandamenti con l’amore, il perdono di Dio, con la forza dello Spirito santo, che abita in Lui e ci rende capaci di vivere amando come Dio ci ama, perdonando come Dio ci perdona e questo è già gioia di paradiso, anche con tutte le tribolazioni. E noi, attraverso la fede, l’incontro sacramentale con Lui, possiamo  convertirci continuamente aprendoci all’azione dello Spirito santo, che ci dà l’atteggiamento con cui affrontare tutti i problemi, le situazioni facili o difficili della vita: i problemi dobbiamo cercare di risolverli noi, ma Lui ci offre l’atteggiamento con cui affrontarli. Perciò ogni precetto diventa vero come esigenza di amore, e tutti si ricongiungono in un unico comandamento, anima di tutti: ama nell’amore di Dio con tutta la mente e con tutto il cuore amando il prossimo come te stesso. “Pienezza della Legge (cui continuamente convertirci) è la carità” (Rm 13,10) cui continuamente la Regina dell’amore ci sollecita.
Nel Discorso della Montagna, come nuovo Mosè, Gesù non ci dà nuovi precetti, bastano i Comandamenti, ma ci vuole beati e mostra la via della felicità, cui continuamente convertirci, anche in tutti i limiti, le difficoltà della vita. Nella certezza dell’amore, del perdono paterno, Dio fa di tutto perché possiamo scoprire la via della vera felicità. Ci ha mandato Gesù, suo Figlio in un volto umano, ce lo manda sacramentalmente risorto con il dono dello Spirito santo nel volto dei suoi amici, l’Amore in persona tra il Padre e il Figlio, perché ci offra la felicità evangelica.
Le beatitudini hanno un aspetto sorprendente, anzi sconcertante: Gesù proclama beate quelle persone che il mondo proclamerebbe infelici. Dice: “Beati i poveri …beati gli afflitti …beati quelli che hanno fame e sete di giustizia …beati i perseguitati perché di Lui, annunciatori di Lui. Gesù, con il dono dello Spirito Santo in una risposta   di amore, ci vuol far comprendere che la vera felicità non si trova dove il mondo la cerca, cioè nell’idolo della ricchezza, del potere, del possedere, del dominare sugli altri, del piacere cioè impuri, ma nella consapevolezza del nostro e altrui essere dono del Donatore divino e di tutto il mondo che ci circonda, nel continuo farci dono che ci fa diventare quello che siamo.
Gesù proclama come prima beatitudine cui convertirci, cambiando mentalità e vita, quella della povertà in spirito cioè la relativizzazione di tutti beni storici per la vita veramente dell’amore e del perdono che giungerà a compimento nel giorno natalizio al cielo cioè alla vita eterna con Dio che è amore. Evangelicamente tutti i beni temporali sono beni preziosi ma relativi, non idoli: “Beati i poveri in spirito (cioè che non trasformano in idoli i beni temporali facendoli occasione di dono), perché di essi è già il regno dei cieli”. Gesù non dice che per essere poveri basti trovarsi nella povertà materiale. Questa, quando diventa miseria o mancanza del necessario, diventa un ostacolo alla vera felicità. Gesù ci prospetta la povertà in spirito, cioè alla verità o relatività di tutti i beni temporali, materiali poiché niente alla morte porteremo con noi se non l’esserci fatti dono e quindi distaccati dalla loro ricerca avida,  schiavizzante. Povero in spirito chi non antepone nessuno e niente a Lui che ci ama fino al perdono perché anche noi ci facciamo continuamente quello che siamo cioè dono, perdono. Il regno dei cieli, il regno di Dio non è un al di là immaginario, in un futuro che non arriva mai; il suo regno si fa continuamente presente in chi non anteponendo nessuno e niente a Lui si sente amato, perdonato e ama, perdona con il suo amore. Oggi culturalmente sul piano della prassi il libero arbitrio individuale viene eretto a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare soccombendo alla tentazione del Maligno sempre in agguato.
In fondo essere poveri, nascendo mortali, è una realtà anteriore ad ogni nostra scelta, occorre cogliersi e accogliersi nel nostro e altrui essere dono del Donatore divino. Solo questa consapevolezza ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà per essere generosi giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo,  in una storia che, per loro natura sono imperfetti, provocano afflizioni, sofferenze. C’è anche l’illusione che per avere successo si debba usare la forza; ma Gesù dice: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”. Soltanto la mitezza, la tenerezza dell’amore crea una situazione pacifica che permette di godere insieme i piccoli beni che il Signore continuamente ci dà. La violenza, la pretesa genera sempre una situazione precaria, di pericolo, che non permette la vera gioia. Lo possiamo constatare nell’attuale cultura  in Occidente che sta diventando la tomba di Dio e dell’uomo per il secolarismo: stanno crescendo  situazioni di violenza  in tutti i campi, anche nel rapporto uomo-donna, a livello economico e che si prolungano indefinitamente provocando insicurezza, miseria e dolore.
E’ beato chi ha fame di giustizia e santità. Ma la beatitudine che più ci garantisce anche l’aiuto storico di Dio è la volontà di perdonare come Lui ci perdona cioè la misericordia. C’è poi la purezza di cuore anche nell’attrattiva uomo-donna che dà la capacità di coglierlo nel piacere, in tutti i doni senza soccombere nella tentazioni di renderli idoli. Beati gli operatori di pace. L’ultima beatitudine, espressa in due modi, è la più sorprendente: chi accetta per amore, non subisce, la persecuzione a causa della giustizia, l’insulto, unito alla passione di Gesù attualizzata sacramentalmente nella Messa giunge al  massimo nel farsi dono, nel realizzarsi della verità dell’uomo. Pietro dice ai cristiani convertiti al regno di Dio: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegravi ed esultare” (1 Pt 4,13). E Giacomo: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove” (Gc 1,2) perché realizzate la vera conversione al regno di Dio.

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