Domenica XXV C

Occorre soffermarsi spesso sul retto uso dei beni terreni sia a livello personale e sia a livello culturale, globale
La Parola del Signore ci invita a soffermarci per riflettere sul retto uso dei beni terreni, un tema che in queste domeniche l’evangelista Luca, in vari modi, ha riproposto alla nostra attenzione. Raccontando la parabola di un amministratore disonesto ma assai scaltro, Cristo ci insegna quale l’è il
modo personale e globale di utilizzare  il denaro e le ricchezze materiali, e cioè condividerli, come suggerisce anche il profeta Amos nella prima lettura, con i poveri procurandosi così la loro amicizia, in vista della vita veramente vita. “Procuratevi amici con la disonesta ricchezza – dice Gesù – perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterna” (Lc 16,9). Possiamo qui ricordare la parabola di Lazzaro e del ricco epulone (Lc 16, 19-31). Quest’ultimo non ha agito in modo da avere Lazzaro come avvocato nell’al di là; ha stabilito una forte separazione tra lui e Lazzaro, e il risultato è stato che Lazzaro, che ora si trova nelle dimore eterne, non può aiutarlo in nessun modo. Il "denaro“" non è “disonesto” in se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l’uomo in un cieco individualismo. La cultura che oggi predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente fino a chiedere di cambiare la Costituzione italiana troppo personalista pone la libertà individuale senza il rapporto personale con il bene comune a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Dio rimane escluso dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio, l’al dà non compaiono più direttamente, sembrano divenire superflui ed estranei riducendo l’uomo a semplice prodotto della natura, suscettibile di essere trattato come ogni altro animale con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante  per se stesso. Urge  recuperare uno spazio pubblico per Dio e il valore centrale di ogni persona nella tensione verso il bene comune e quindi una sorta di “conversione” dei beni economici: invece di usarli solo per interesse proprio o di parte nella globalizzazione, occorre pensare alle necessità dei poveri, imitando Dio che ha assunto un volto umano, Cristo stesso, il quale – scrive san Paolo – “da ricco che era si fece povero per arricchire noi con la sua povertà” (2 Cor 8,9). Sembra un paradosso: Cristo non ci ha arricchiti con la sua ricchezza, ma con la sua povertà, cioè con il suo amore che lo ha spinto a darsi totalmente a noi.
Qui potrebbe aprirsi un vasto e complesso campo di riflessione sul tema della ricchezza e della povertà, anche su scala mondiale nell’attuale globalizzazione contro l’identità culturale di ogni nazione, in cui si confrontano due logiche economiche: la logica del profitto e quello della equa distribuzione dei beni, che non sono in contraddizione l’una con l’altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato. La dottrina sociale cattolica ha sempre sostenuto che l’equa distribuzione dei beni è prioritaria per i beni stessi. Il profitto è naturalmente legittimo e, nella giusta misura, necessario allo sviluppo economico. San Giovanni Paolo II così scrisse nella Centesimus annus: “la moderna economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona cioè l’individuo in relazione con il bene comune cioè persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi” (n. 32), cuore della nostra Costituzione italiana nella sua prima parte. Tuttavia, egli aggiunse, il capitalismo con la nuova ondata di illuminismo e di laicismo non va considerato come l’unico modello valido di organizzazione economica (ivi, 35). L’emergenza della fame e quella ecologica stanno a denunciare, con crescente evidenza, che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri facendo esplodere l’immigrazione e un rovinoso sfruttamento del pianeta. Quando invece prevale la logica della condivisione, del bene comune e della solidarietà, è possibile correggere la rotta orientata verso uno sviluppo equo e sostenibile.
Maria, che nel Magnificat proclama: il Signore “ha ricolmato di beni gli affamati / ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,53), aiuti noi cristiani ad usare con saggezza evangelica, con generosa solidarietà, i beni terreni, ed ispiri ai governati e agli economisti strategie lungimiranti che favoriscano l’autentico progresso di ogni persona e di tutti i popoli.

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