Un elemento della pastorale di Papa Francesco

La corruzione non appare una devianza solo umana, quanto una tendenza maligna in ambito politico, economico con riflessi ecclesiastici
  Piero Schiavazzi ha pubblicato in L’Huffingt Post del 17/06/2014 la risposta alla domanda fatta a Padre Spadaro su una interpretazione autentica della direttiva pastorale del pontificato di Papa Francesco espressa in tre aggettivi “Profetica, drammatica, poliedrica”.
  Dei tre aggettivi è stato il secondo, “drammatica”, a catalizzare la curiosità dell’uditorio in rapporto
all’accentuazione dell’immagine gioiosa che il Papa diffonde di sé, della Chiesa, del magistero: “Evangelii gaudium” appunto, di nome di fatto, dal titolo della sua Esortazione Apostolica. Eppure, pur in questo orizzonte gioioso di fede, speranza, carità, ha insistito Spadaro, “il pontificato di Francesco non è affatto dolce, ma caratterizzato nella lotta tra il Principe di questo mondo e il Signore della storia” che lo ha vinto e lo vince se uniti a Lui nel suo Corpo che è la Chiesa, di cui Maria è Madre.
  Scenario ai confini dell’apocalisse che viene confermato, quasi contro confermato, dalle omelie della decima prima settimana durante l’anno, a Santa Marta. Qui Papa Francesco ha condotto un’analisi che, pur nell’orizzonte di fede della volontà che “rende ragione della speranza”, richiama la drammaticità attuale di quel pensiero unico che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente e che pone in luce la questione antropologica cioè una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura. Come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Nelle sue parole, la corruzione non appare infatti una devianza solo umana, quanto piuttosto una tendenza maligna in ambito economico – finanziario, politico con riflessi ecclesiastici. “E dobbiamo dire la verità, la corruzione è proprio il peccato a portata di mano, che ha quella persona che ha autorità sugli altri, sia economica, sia politica, sia ecclesiastica. Tutti siamo tentati di corruzione. E’ un peccato a portata di mano. Perché quando uno ha autorità si sente potente, si sente quasi Dio”.
  Questi richiami forti Papa Francesco li offre anche in Piazza San Pietro, che non per questo cessa di essere gremita e partecipe. Mercoledì 11 giugno, Papa Francesco ha offerto un anticipo dei temi e problemi che affronterà sabato in Calabria, nella piana di Sibari, terra di braccianti e caporali, agrumeti e ‘Ndrangheta. Un viaggio pastorale che si preannuncia forte: “Penso a coloro che vivono nella tratta di persone e del lavoro schiavo; voi pensate che questa gente che tratta le persone, che sfrutta le persone con il lavoro ha nel cuore l’amore di Dio?”.
  Purtroppo per ritrovare il paesaggio dell’America Latina Papa Francesco non ha bisogno di scendere al Sud, dove il 21 lo attende la diocesi di Cassano all’Ionio, guidata dal neosegretario della CEI, Nunzio Galantino. Bastano le cronache lombardo – venete a risvegliare la grinta delle omelie argentine contro la corruzione, male dei mai e odierna manifestazione dell’influsso satanico anticristiano accolto: “ … cosa spetta ai corrotti? Questa è la maledizione di Dio, perché hanno sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi le mani”, ha tuonato mercoledì, rivaleggiando con il cielo di Roma, prodigo di fulmini e temporali di stagione.
  Un crescendo di attenzione che qualche ora più tardi ha celebrato il suo passaggio istituzionale nel discorso al Consiglio Superiore della Magistratura, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. “Inaridimento del patrimonio valoriale” con la dittatura del positivismo giuridico ed “evoluzione degli assetti democratici”, ha scandito Papa Francesco, anche nell’attuale frangente della storia italiana esaltano “l’aspetto etico”  e la centralità dell’ufficio di magistrato, a tutela del principio di legalità, “in cui trovano la loro sintesi la certezza del diritto e l’equilibrio dei diversi poteri”. Un compito che a sua volta impone, ha proseguito, altrettanto ed “Elevato equilibrio interiore, capace di dominare le spinte provenienti dal proprio carattere, dalle proprie vedute personali, dai propri convincimenti ideologici”. Virtù eroiche, come le definisce la Chiesa, che appartengono ai santi e che il Pontefice ha riconosciuto nelle figure di Vittorio Bascelet e Rosario Liventino, ricordando la causa di beatificazione di quest’ultimo ed accelerando de facto il cammino verse gli altari.
  Piero Schiavazzi osservando i film del pontificato, un critico osserverebbe che con il secondo tempo, dopo il rodaggio del primo anno, stiamo assistendo a un cambio di passo, della regia, che si fa incalzante e intensifica le scene d’azione. Una  catechesi impartita senza paura e senza pausa, nelle piane infestate dalla mafia e nella piazza in festa, come quella del 10 maggio a San Paolo con il grande raduno della scuola, opportunità pedagogica che Francesco non si è lasciato sfuggire: “Diciamolo insieme: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca. Tutti insieme”.
  Si tratta della globalità cioè della verità in tutti gli ambiti pastorali dove tra tutti gli aspetti dell’incontro ecclesiale con Gesù Cristo non mancano i suoi richiami forti di allora e di oggi per la Chiesa, per il mondo. Il profeta che, nella gerarchia delle verità essenziali della fede, proclama la cultura dell’incontro, del porsi, va senza esitazione ad affrontare lo scontro con le piazzeforti del malaffare, dalle frontiere di mafia fino alle retrovie della corruzione, organicamente collegate le une alle altre. Colui che alla finestra dell’Angelus richiama la misericordia di chi ama non solo perché e quando siamo buoni ma per farci diventare suoi amici, che non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte con l’accoglienza del suo perdono per il peccato colto e confessato, ci rialziamo, non può non richiamare il rischio del libero arbitrio di poter distruggere totalmente in noi stessi il desiderio della verità e la disponibilità all’amore fino a non aver più nulla di rimediabile ed è questo che si denuncia con la parola inferno. E’ il rischio del “sequestro preventivo” del bene più ampio della vita veramente vita, della vita eterna con la satanica spiritualità mondana. “Penso per esempio alle persone che hanno responsabilità sugli altri e si lasciano corrompere, voi pensate che una persona corrotta sarà felice dall’altra parte?” Il 21 marzo nella parrocchia di Gregorio VI ha incontrato i parenti delle vittime di mafia con i nominativi dei loro cari concludendo con un ultimatum: “cambiate vita … per non finire all’inferno”, rivolto “ai grandi assenti” della criminalità organizzata, “agli uomini e alle donne mafiosi”, che quel giorno non c’erano mentre sabato presumibilmente saranno “in zona”.
  Nel discernimento di Papa Francesco, i tentacoli  satanici della piovra avvolgono il mondo e minacciano la barca di Pietro assai più dei venti di dottrina e della dittatura del relativismo – secondo Pietro Schiavazzi -, denunciati da Joseph Ratzinger il 18 aprile 2005, nella omelia “elettorale” che di lì a un giorno gli sarebbe valsa l’elezione. Anche Karol Wojtyla, che il 9 maggio 1993 scagliò il suo anatema nella Valle dei Tempi, credeva nel Dragone e avvertiva il pericolo.  Ma era trascorso troppo poco tempo dalla vittoria sul totalitarismo marxista alternativo al liberismo selvaggio per ammettere che la terra promessa del millennio, dopo l’esodo dalle cattività e persecuzioni naziste e staliniane  del Novecento, si riattualizzasse dal potere finanziario internazionale attraverso la potenza mediatica.
  Con una ulteriore, sostanziosa distinzione rispetto all’era di Giovanni Paolo II, che declinava Satana al singolare, configurandolo nel muro tra l’Est e l’Ovest, prigione di popoli particolari. All’opposto, nei giorni infernali della economia globalizzata nella crisi antropologica e della corruzione generalizzata, della tratta degli esseri umani e del traffico d’armi evocati da Francesco, il Maligno, il Dragone ha un nome plurale e sfuggente, come nel racconto evangelico dell’indemoniato di Gerasa: “Qual è il tuo nome? Gli domandò Gesù. Ed Egli rispose Legione, perché siamo in molti”.
  Se la fisionomia del nemico appare dunque indefinita e cangiante, non si può dire altrettanto del campo di battaglia, facilmente identificabile. Corrotti e corruttori, mercanti di morte e di uomini, mafie da esportazione e d’importazione contendono alla Chiesa l’immenso giacimento d’anime delle periferie, luogo elettivo delle rispettive “missioni” e teatro di uno scontro decisivo, al bivio tra Gomorra e Gerusalemme. E’ questa, secondo il Pontefice, la posta in gioco della resa dei conti epocale tra il Principe del mondo e il Signore della storia, di cui ha parlato Spadaro.
  Nella giungla cosmopolita me composta, urbana e suburbana, “dove si formano i nuovi racconti e paradigmi”, la Chiesa con Papa Francesco è impegnata a fungere, con il recupero della fede, da “generatore di senso”, promuovendo le ragioni fraterne dello stare insieme per la paternità divina universale e la trasparenza solidale dei legami sociali, quale premessa della loro trascendenza e dello spazio pubblico di Dio: “che il senso di responsabilità pian piano vinca sulla corruzione … e questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi”.
  L’atteggiamento di fede del Papa, in tale guerra di posizione, agisce sulla coscienza popolare rifornendosi nell’ascolto attuale, ecclesiale di Dio attraverso la testimonianza della Scrittura e non risparmiando richiami ai “devoti” della tangente: “E questo merita – dice Gesù, non lo dico io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Non parla di perdono, qui”. Con una sola via d’uscita, concede Papa Francesco, quella di Zaccheo: “Ho rubato, Signore! Darò quattro volte quello che ho rubato”.    
  Ad attendere il risarcimento, agli occhi di Papa Francesco, sta infatti una enorme folla dei “martiri della corruzione”, categoria inedita che lui ha introdotto nel lessico della dottrina: “Se parliamo di corrotti politici e dei corrotti economici, chi paga questo? Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura … E chi paga la corruzione di un ecclesiastico? La pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce … I poveri pagano. La corruzione viene pagata dai poveri: poveri materiali, poveri spirituali”.
  La “demonizzazione” dei corrotti, reiterata con accenti storici, non discende in definitiva dal presente climatico delle cronache giudiziarie italiane, che pure impressionano il vescovo di Roma. E nemmeno dal passato prossimo di quelle argentine, che suscitavano gli strali e l’indignazione dell’arcivescovo di Buenos Aires. Ma si deve all’origine della secolarizzazione concettualizzando Il Creatore come un orologiaio che costruito l’orologio, creato il mondo, non c’entra più. Ogni uomo non nascerebbe con il peccato d’origine cioè con la tendenza al male, bisognoso del Dio che possiede un volto umano per non soccombere nella tentazione e essere liberato dal Maligno. Ogni uomo nascerebbe buono, sono le strutture a renderlo cattivo. Basta la rivoluzione borghese del 1789, quella marxista leninista alternativa del 1917, quella purte alternativa del liberismo perché tutti gli uomini diventino uguali, liberi, fratelli. E il Regno di Dio, il Paradiso che avviene con l’amore e giunge a compimento nell’al di là si realizza nell’orizzonte temporale con la scienza e la tecnica: è la satanica spiritualità mondana oggi egemone. Sono queste le cause dell’attuale e drammatica questione antropologica a monte della fecondazione artificiale, dell’omosessualità, del matrimonio gay.
  La presa di coscienza generale costituisce un presupposto della nuova evangelizzazione, una sorta di bonifica propedeutica. E al tempo stesso un rinnovato pensiero della Dottrina sociale, in cui la trasparenza delle istituzioni politico – economiche nonché ecclesiastiche,, una fede amica dell’intelligenza, una forte unità realizzata nella Chiesa, una prassi di vita comunitaria caratterizzata dall’amore reciproco e da una grande, popolare attenzione premurosa ai poveri, agli emigranti è condizione affinché la comunità degli uomini possa essere attraversata in questo momento dalla luce divina e ascendere ai piani alti della comunione con Dio.
  Ringrazio Pietro Schiavazzi da cui quasi tutto ho attinto.    

 la diocesi di Cassano all’Ionio, guidata dal neosegretario della CEI, Nunzio Galantino. Bastano le cronache lombardo – venete a risvegliare la grinta delle omelie argentine contro la corruzione, male dei mai e odierna manifestazione dell’influsso satanico anticristiano accolto: “ … cosa spetta ai corrotti? Questa è la maledizione di Dio, perché hanno sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi le mani”, ha tuonato mercoledì, rivaleggiando con il cielo di Roma, prodigo di fulmini e temporali di stagione.
  Un crescendo di attenzione che qualche ora più tardi ha celebrato il suo passaggio istituzionale nel discorso al Consiglio Superiore della Magistratura, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. “Inaridimento del patrimonio valoriale” con la dittatura del positivismo giuridico ed “evoluzione degli assetti democratici”, ha scandito Papa Francesco, anche nell’attuale frangente della storia italiana esaltano “l’aspetto etico”  e la centralità dell’ufficio di magistrato, a tutela del principio di legalità, “in cui trovano la loro sintesi la certezza del diritto e l’equilibrio dei diversi poteri”. Un compito che a sua volta impone, ha proseguito, altrettanto ed “Elevato equilibrio interiore, capace di dominare le spinte provenienti dal proprio carattere, dalle proprie vedute personali, dai propri convincimenti ideologici”. Virtù eroiche, come le definisce la Chiesa, che appartengono ai santi e che il Pontefice ha riconosciuto nelle figure di Vittorio Bascelet e Rosario Liventino, ricordando la causa di beatificazione di quest’ultimo ed accelerando de facto il cammino verse gli altari.
  Piero Schiavazzi osservando i film del pontificato, un critico osserverebbe che con il secondo tempo, dopo il rodaggio del primo anno, stiamo assistendo a un cambio di passo, della regia, che si fa incalzante e intensifica le scene d’azione. Una  catechesi impartita senza paura e senza pausa, nelle piane infestate dalla mafia e nella piazza in festa, come quella del 10 maggio a San Paolo con il grande raduno della scuola, opportunità pedagogica che Francesco non si è lasciato sfuggire: “Diciamolo insieme: è sempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca. Tutti insieme”.
  Si tratta della globalità cioè della verità in tutti gli ambiti pastorali dove tra tutti gli aspetti dell’incontro ecclesiale con Gesù Cristo non mancano i suoi richiami forti di allora e di oggi per la Chiesa, per il mondo. Il profeta che, nella gerarchia delle verità essenziali della fede, proclama la cultura dell’incontro, del porsi, va senza esitazione ad affrontare lo scontro con le piazzeforti del malaffare, dalle frontiere di mafia fino alle retrovie della corruzione, organicamente collegate le une alle altre. Colui che alla finestra dell’Angelus richiama la misericordia di chi ama non solo perché e quando siamo buoni ma per farci diventare suoi amici, che non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte con l’accoglienza del suo perdono per il peccato colto e confessato, ci rialziamo, non può non richiamare il rischio del libero arbitrio di poter distruggere totalmente in noi stessi il desiderio della verità e la disponibilità all’amore fino a non aver più nulla di rimediabile ed è questo che si denuncia con la parola inferno. E’ il rischio del “sequestro preventivo” del bene più ampio della vita veramente vita, della vita eterna con la satanica spiritualità mondana. “Penso per esempio alle persone che hanno responsabilità sugli altri e si lasciano corrompere, voi pensate che una persona corrotta sarà felice dall’altra parte?” Il 21 marzo nella parrocchia di Gregorio VI ha incontrato i parenti delle vittime di mafia con i nominativi dei loro cari concludendo con un ultimatum: “cambiate vita … per non finire all’inferno”, rivolto “ai grandi assenti” della criminalità organizzata, “agli uomini e alle donne mafiosi”, che quel giorno non c’erano mentre sabato presumibilmente saranno “in zona”.
  Nel discernimento di Papa Francesco, i tentacoli  satanici della piovra avvolgono il mondo e minacciano la barca di Pietro assai più dei venti di dottrina e della dittatura del relativismo – secondo Pietro Schiavazzi -, denunciati da Joseph Ratzinger il 18 aprile 2005, nella omelia “elettorale” che di lì a un giorno gli sarebbe valsa l’elezione. Anche Karol Wojtyla, che il 9 maggio 1993 scagliò il suo anatema nella Valle dei Tempi, credeva nel Dragone e avvertiva il pericolo.  Ma era trascorso troppo poco tempo dalla vittoria sul totalitarismo marxista alternativo al liberismo selvaggio per ammettere che la terra promessa del millennio, dopo l’esodo dalle cattività e persecuzioni naziste e staliniane  del Novecento, si riattualizzasse dal potere finanziario internazionale attraverso la potenza mediatica.
  Con una ulteriore, sostanziosa distinzione rispetto all’era di Giovanni Paolo II, che declinava Satana al singolare, configurandolo nel muro tra l’Est e l’Ovest, prigione di popoli particolari. All’opposto, nei giorni infernali della economia globalizzata nella crisi antropologica e della corruzione generalizzata, della tratta degli esseri umani e del traffico d’armi evocati da Francesco, il Maligno, il Dragone ha un nome plurale e sfuggente, come nel racconto evangelico dell’indemoniato di Gerasa: “Qual è il tuo nome? Gli domandò Gesù. Ed Egli rispose Legione, perché siamo in molti”.
  Se la fisionomia del nemico appare dunque indefinita e cangiante, non si può dire altrettanto del campo di battaglia, facilmente identificabile. Corrotti e corruttori, mercanti di morte e di uomini, mafie da esportazione e d’importazione contendono alla Chiesa l’immenso giacimento d’anime delle periferie, luogo elettivo delle rispettive “missioni” e teatro di uno scontro decisivo, al bivio tra Gomorra e Gerusalemme. E’ questa, secondo il Pontefice, la posta in gioco della resa dei conti epocale tra il Principe del mondo e il Signore della storia, di cui ha parlato Spadaro.
  Nella giungla cosmopolita me composta, urbana e suburbana, “dove si formano i nuovi racconti e paradigmi”, la Chiesa con Papa Francesco è impegnata a fungere, con il recupero della fede, da “generatore di senso”, promuovendo le ragioni fraterne dello stare insieme per la paternità divina universale e la trasparenza solidale dei legami sociali, quale premessa della loro trascendenza e dello spazio pubblico di Dio: “che il senso di responsabilità pian piano vinca sulla corruzione … e questo deve partire da dentro, dalle coscienze, e da lì risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazio, si allarghi, si radichi”.
  L’atteggiamento di fede del Papa, in tale guerra di posizione, agisce sulla coscienza popolare rifornendosi nell’ascolto attuale, ecclesiale di Dio attraverso la testimonianza della Scrittura e non risparmiando richiami ai “devoti” della tangente: “E questo merita – dice Gesù, non lo dico io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Non parla di perdono, qui”. Con una sola via d’uscita, concede Papa Francesco, quella di Zaccheo: “Ho rubato, Signore! Darò quattro volte quello che ho rubato”.    
  Ad attendere il risarcimento, agli occhi di Papa Francesco, sta infatti una enorme folla dei “martiri della corruzione”, categoria inedita che lui ha introdotto nel lessico della dottrina: “Se parliamo di corrotti politici e dei corrotti economici, chi paga questo? Pagano gli ospedali senza medicine, gli ammalati che non hanno cura … E chi paga la corruzione di un ecclesiastico? La pagano i bambini, che non sanno farsi il segno della croce … I poveri pagano. La corruzione viene pagata dai poveri: poveri materiali, poveri spirituali”.
  La “demonizzazione” dei corrotti, reiterata con accenti storici, non discende in definitiva dal presente climatico delle cronache giudiziarie italiane, che pure impressionano il vescovo di Roma. E nemmeno dal passato prossimo di quelle argentine, che suscitavano gli strali e l’indignazione dell’arcivescovo di Buenos Aires. Ma si deve all’origine della secolarizzazione concettualizzando Il Creatore come un orologiaio che costruito l’orologio, creato il mondo, non c’entra più. Ogni uomo non nascerebbe con il peccato d’origine cioè con la tendenza al male, bisognoso del Dio che possiede un volto umano per non soccombere nella tentazione e essere liberato dal Maligno. Ogni uomo nascerebbe buono, sono le strutture a renderlo cattivo. Basta la rivoluzione borghese del 1789, quella marxista leninista alternativa del 1917, quella purte alternativa del liberismo perché tutti gli uomini diventino uguali, liberi, fratelli. E il Regno di Dio, il Paradiso che avviene con l’amore e giunge a compimento nell’al di là si realizza nell’orizzonte temporale con la scienza e la tecnica: è la satanica spiritualità mondana oggi egemone. Sono queste le cause dell’attuale e drammatica questione antropologica a monte della fecondazione artificiale, dell’omosessualità, del matrimonio gay.
  La presa di coscienza generale costituisce un presupposto della nuova evangelizzazione, una sorta di bonifica propedeutica. E al tempo stesso un rinnovato pensiero della Dottrina sociale, in cui la trasparenza delle istituzioni politico – economiche nonché ecclesiastiche,, una fede amica dell’intelligenza, una forte unità realizzata nella Chiesa, una prassi di vita comunitaria caratterizzata dall’amore reciproco e da una grande, popolare attenzione premurosa ai poveri, agli emigranti è condizione affinché la comunità degli uomini possa essere attraversata in questo momento dalla luce divina e ascendere ai piani alti della comunione con Dio.
  
Ringrazio Pietro Schiavazzi da cui quasi tutto ho attinto.    

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