Preghiera 50

8 aprile 2014

Lasciarsi guardare da Lui crocefisso e vivo
nel momento in cui dona la vita per noi, per me e ci attira a Lui
si è liberati, guariti o consolati in tutte le tribolazioni

Liturgia della quinta Domenica di Quaresima
Omelia

Quando conveniamo in questa Chiesa ci troviamo davanti a un grande Crocefisso sopra il Tabernacolo e per la presenza eucaristica in quel Crocefisso Gesù non appare morto, ma realmente, corporalmente, sostanzialmente vivo in quella bianca particola! Sull’Altare, alla Consacrazione di ogni Messa, quel sangue scende dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato, si riattualizza sacramentalmente non in modo sanguinante ed esprime vita, perdono, liberazione, forza in
tutte le tentazioni e le tribolazioni. Gesù non ha gli occhi chiusi, ma aperti, spalancati su tutta l’umanità, anche di oggi, comunque ridotta, su ciascuno di noi qui convenuti sapendo  pensando davanti a chi ci troviamo, chi ascoltiamo nella testimonianza biblica con cui anche questa sera ci parla, chi riceveremo nella comunione: consapevoli, questo sguardo parla al cuore di ciascuno, di ogni persona, persone divine a persona umana. E il Crocifisso non ci parla di sconfitta, di fallimento; paradossalmente ci parla di una morte che non è soccombere alla cattiveria, ai limiti di questa vita naturale ferita dal peccato fin dalle origini, ma è vita perché genera vita veramente vita, perché ci parla di amore, perché è l’Amore di Dio incarnato, e l’Amore non muore mai, anzi, sconfigge il male, il Maligno e la morte. L’apostolo Paolo ci insegna (Ef 3,18) che questo amore o carità ha quattro dimensioni:
-         la larghezza…non esclude nessuno
-         la lunghezza…è perseverante e nessuna difficoltà, nessuna cattiveria lo vince
-         l’altezza… esso si propone un fine altissimo, riportare ogni uomo, comunque ridotto, ad essere in Cristo, personalmente figlio nel Figlio di Dio che è Padre di tutti, quindi comunitariamente fratelli, liberi, uguali in dignità;
-         la profondità…esso condivide fino in fondo le  miserie, le tentazioni di ogni uomo vivente per cui nessuno nella tentazione, nel peccato riconosciuto, è solo.
Chi si lascia guardare da Gesù crocifisso risorto viene, attraverso la sua presenza eucaristica e la sua azione sacramentale, ecclesiale, continuamente ri-creato da quello che il peccato può aver distrutto, se grave, o rovinato, se veniale, diventa una “nuova creatura” contro la quale il Maligno, pur agendo malignamente, non può mai vincere. Proprio da questa fede, da questa fiducia parte tutto: è l’esperienza della Grazia o dono ecclesiale dello Spirito di Cristo, che trasforma con l’avvenimento dell’essere amati senza merito, pur essendo peccatori, liberi, pieni di speranza pur tra tante prove e tribolazioni. Papa Francesco ci dice: non lasciamoci rubare mai la speranza dal Maligno che ci tenta, dalla vita naturale con le sue malattie, ingratitudini, sofferenze, dall’ azione preternaturale del Maligno con negatività, vessazioni, ossessioni!
Solo assimilandoci ogni giorno a Lui in croce facendoci continuamente dono nel nostro e altrui essere dono, in tutto il mondo che ci circonda, si ha la vita vera e si viene trasformati nonostante le cadute perché il Suo amore non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte con il suo perdono sacramentale, ci rialziamo, ci ama non solo quando o perché siamo buoni ma per farci suoi amici, anzi dove abbonda il peccato sovrabbonda la sua attenzione, la sua pazienza, il suo attendere, la sua inquietudine cioè il suo amore misericordioso. Beati i poveri cioè coloro che si rendono conto delle proprie colpe e dei propri limiti, non definiscono nessuno dal male che fa: è questa la povertà spirituale, la povertà del cuore che impedisce la mondanità spirituale cioè il gonfiare i beni di questo mondo, propri o altrui, e sanno spogliarsi per amare, per aiutare senza mai essere indifferenti al bisogno di chi possiamo aiutare. Questa esperienza tangibile, concreta del suo amore in noi nella carne di ogni volto è per noi garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita con ogni bene senza alcun male che è “veramente” vita cioè il paradiso.
Chi sa cogliere e accogliere la presenza del Crocefisso risorto, il suo amore, riceve nel proprio intimo la serenità in ogni prova, la pace che solo Lui, e non il mondo, ci può dare. Quella di Cristo cioè di Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato e ci ama sino alla fine, l’umanità nel suo insieme e ciascuno in particolare, è passata attraverso l’amore più grande, quello della Croce senza soccombere. E’ la pace che Gesù risorto donò ai suoi discepoli quando apparve in mezzo a loro in quella prima Domenica della storia. La pace di Cristo la esperimenta chi “prende su di sé” il suo “giogo”, cioè il suo comandamento: amatevi gli uni e gli altri non solo come amate voi stessi, ma come io vi ho amato e vi amo lasciandomi uccidere per voi senza soccombere. Certo questo giogo non si può portare con arroganza ritenendosi migliori degli altri come fosse una conquista nostra,  con presunzione, con superbia, tutte caratteristiche di Satana, ma solo si può portare con mitezza, con tenerezza e umiltà di cuore: imparate da Me che sono mite ed umile di cuore.  E la serenità, la vera tenerezza con tutti, lo scudo contro tutto il male del Maligno, entra nel nostro cuore se in esso si lascia entrare la presenza di Gesù Cristo con il dono dello Spirito del Padre, se non si antepone, con la fedeltà alla  preghiera e alla carità, niente e nessuno, nemmeno se stessi a Lui. Sensibilmente nasce la spinta a preferire gli ultimi, i più poveri, non certo per amore della povertà ma amandoli come la carne concreta del Crocefisso risorto, presente nei loro volti.

Ogni volta che si nomina la croce, ci segniamo:

Salvami, o Cristo redentore per la potenza della tua croce +:
tu che hai salvato Pietro in mare abbi pietà di me.
Per il santo segno della croce + liberaci, o Cristo, dai nostri nemici.
Per la tua santa croce + salvaci, o Cristo redentore,
tu che nella tua morte hai annientato la nostra morte
e risorgendo hai rinnovato la vita.
Adoriamo la tua croce +, o Signore,
veneriamo la tua gloriosa passione:
tu che per noi hai sofferto, abbi pietà di noi.
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo,
perché con la tua santa croce + hai redento il mondo. 

Alla fine della Messa, per l’adorazione:

(375) R) Ti saluto, o Croce santa, che portasti il Redentor; gloria, lode, onor ti canta ogni lingua ed ogni cuor.
1. Sei vessillo glorioso di Cristo, sua vittoria e segno d’amor: il suo sangue innocente fu visto come fiamma sgorgare dal cuor. R) Ti saluto….
2. Tu nascesti fra braccia amorose d’una Vergine Madre, o Gesù; tu moristi fra braccia pietose d’una croce che data ti fu. R) Ti saluto…
3. O Agnello divino, immolato sulla croce crudele, pietà!
Tu, che togli dal mondo il peccato,
salva l’uomo che pace non ha! R) Ti saluto…

In questi due incontri 11 febbraio e 8 marzo del secondo martedì del mese, nel tempo quaresimale, ci prepariamo all’incontro degli incontri di liberazione, il Triduo pasquale dal giovedì santo sera alla veglia con la Comunione e la Confessione pasquale. Nell’omelia ci siamo preparati al Venerdì santo, al bacio del Crocefisso, un momento forte di liberazione, di guarigione, di consolazione. In questo momento ci prepariamo alla sera del giovedì santo all’ora santa dopo la messa in Cena Domini. Gesù dopo l’ultimo  convito nel quale ci ha donato l’Eucarestia e il sacramento dell’Ordine, esce verso il monte degli ulivi cantando i salmi dell’hallèl (113 – 118 e 136) nei quali si ringrazia Dio per la liberazione. Personalmente, nel pellegrinaggio, ho fatto più volte questa esperienza. IL ringraziamento per la liberazione è allo stesso tempo, anche per noi questa sera, un’invocazione di aiuto in mezzo a tribolazioni e minacce sempre nuove del Maligno e dei limiti di questa vita naturale, biologica in rapporto alla vita soprannaturale ricevuta nel Battesimo e che nel triduo, insieme, soprattutto nella veglia, ravviveremo.
“Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego” (Mc 14, 32). Ai tempi di Gesù, su questo territorio nel pendio del Monte degli ulivi si trovava una fattoria con un frantoio in cui venivano spremute le olive. Esso dava alla fattoria il nome di Getsèmani. Molto vicino c’era una grande caverna naturale, che poteva offrire a Gesù e ai suoi discepoli un alloggio sicuro anche se non proprio comodo per la notte. Quante volte ho sostato nella notte a lungo davanti a uno dei punti più drammatici del mistero del nostro Redentore, da rivivere anche noi, il giovedì santo, davanti all’altare dellareposizione del Santissimo che, parroco o rettore, adornavo dei fiori di pesco: qui Gesù, e la sera del giovedì santo ce lo fa rivivere con Lui, ha esperimentato l’ultima solitudine, tutta la miseria dell’essere uomo perché risorto, vivo, qui presente dinnanzi a noi, lo possiamo sentire vicino a ciascuno, soprattutto chi sta vivendo in sé e in qualche persona cara momenti drammatici. Qui l’abisso del peccato e di ogni male gli è penetrato nel più profondo dell’anima. Qui è stato toccato, come saremo noi, dallo sconvolgimento della morte imminente e dalla tentazione più tremenda. Qui il traditore lo ha baciato. Qui tutti i discepoli, Pietro compreso, lo hanno lasciato. Qui ha lottato contro la tentazione terribile più terribile del Maligno che spesso tenta  anche noi: quale utilità nel mio sacrificio di fronte all’indifferenza di tanti, forse anche di noi, di me?
San Giovanni, nel suo Vangelo, riprende queste esperienze con la parola chiave “giardino”: “Nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto” (19). Giovanni con la parola “giardino” allude al racconto del Paradiso e del peccato originale. Vuole dirci qui quella storia viene ripresa. Nel “giardino” avviene il tradimento, l’ingratitudine dei suoi, ma il giardino è anche il luogo della Risurrezione. Nel giardino, infatti, Gesù ha accettato fino in fondo la volontà del Padre, l’ha fatta diventare, abbracciando la Croce, la sua volontà e così ha capovolto la storia dell’umanità, ha vinto Satana e così ha capovolto la storia dandoci la possibilità, pur fra tanto male, come ripete spesso Papa Francesco, di non lasciarci rubare la speranza.

(192) In te la nostra gloria, o croce del Signore. Per te salvezza e vita nel sangue redentor. R) La Croce di Cristo è nostra gloria, salvezza, è risurrezione.
1. Dio ci sia propizio e ci benedica e per noi illumini il suo volto. R) La Croce…
2. Sulla terra si conosca la tua via, la tua salvezza in tutte le nazioni. R) La ...
3. Si rallegrino, esultino le genti: nella giustizia tu giudichi i popoli. R)La Croce
4. Nella rettitudine tu giudichi i popoli, sulla terra governi le genti. R) La …
In te la nostra gloria o croce del Signore. Per te salvezza e vita nel sangue redentori. R)La Croce…

Dopo la preghiera comune dei Salmi, ancora in cammino verso il luogo del riposo notturno, Gesù fa tre profezie.
Applica a sé la profezia di Zaccaria: il “pastore” sarebbe stato percosso, ucciso e in seguito a ciò le pecore sarebbero state disperse. Gesù dà una forma concreta: sì, il pastore  di Israele, dell’umanità viene percosso da chi si fa strumento di Satana. Ed Egli per amore prende su di sé ogni ingiustizia, il carico distruttivo di ogni colpa quando sapendo, volendo, si fa il male. Si lascia percuotere anziché invocare una legione d’angeli. Si mette dalla parte degli sconfitti, dei disprezzati, dei peccatori nella storia. Adesso, in quell’ora, ciò significa che la comunità dei discepoli si disperde, che questa nuova famiglia di Dio, coltivata per tre anni, si disperde, appena nata, si sfalda prima ancora di aver cominciato a stabilirsi veramente e ad andare in tutto il mondo. “Il pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11), come fa anche ogni papà e mamma. Ma è venuta anche l’ora della sua realizzazione.
Alla profezia di disgrazia segue, però, subito anche la profezia di salvezza: “Dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea” (Mc 14,28), “Precedere” è una parola tipica del linguaggio dei pastori, degli educatori. Gesù, lasciandosi uccidere per amore e passando attraverso la morte, vivrà nuovamente e sarà, risorto, continuamente presente. Come Risorto diviene sempre presente, in ogni luogo e con ciascuno, egli è pienamente quel pastore che attraverso la morte, conduce sulla strada della vita veramente vita. Sono proprie del buon pastore ambedue le caratteristiche: il dare la propria vita e il precedere. Anzi, il dare la vita costituisce, fonda il precedere. Proprio per mezzo di questo dare la vita Egli ci conduce anche questa sera. Proprio mediante questo “dare” Egli apre la porta verso la vastità della realtà. Attraverso la dispersione avviene il raduno definitivo delle pecore. All’inizio della notte sul Monte degli ulivi sta quindi la parola sicura del percuotere e del disperdere, ma anche la promessa che Gesù proprio così si manifesterà come il vero pastore, radunerà i dispersi e li condurrà verso Dio, introducendoli nella vita veramente vita che ogni cuore desidera.

(177)    R) Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
1.     Il Signore è il pastore: non manco di nulla. In pascoli di erbe fresche mi fa riposare, ad acque di sollievo mi conduce, ristora l’anima mia. R) Il Signore…
2.     Mi guida per sentieri di giustizia per amore del suo nome; se anche vado per valle tenebrosa non temo alcun male; sei con me: il tuo bastone, il tuo vincastro, son questi il mio conforto. R) Il Signore…
3.     Amore e bontà mi seguiranno ogni girono di vita; starò nella casa del Signore per la distesa dei giorni. R) Il Signore…

Dopo la rituale recita in comune dei Salmi, Gesù prega da solo, come durante tante notti in precedenza. Necessaria la preghiera in comune: quando due o tre si riuniscono in preghiera io, Crocefisso risorto, mi faccio presente. Ma necessaria anche la preghiera da soli: diventiamo sempre più persone mettendoci personalmente in relazione con Lui, con noi stessi in camera, davanti al tabernacolo, per esserlo con gli altri e allora il Maligno non vince.
 Lascia, tuttavia, vicino a sé il gruppo dei tre – Pietro, Giacomo e Giovanni –noto da altri contesti e in particolare dal racconto della Trasfigurazione. Così essi, anche sopraffatti dal sonno, diventano testimoni della sua lotta notturna così importante per noi. Marco ci racconta che Gesù comincia a “sentire paura e angoscia”. Il Signore dice ai discepoli: “La mia anima è triste fino alla morteRestate qui e vegliate!” (Mc 14,33s).
L’appello  alla vigilanza è già stato un tema di fondo nell’annuncio a Gerusalemme e adesso appare con un’urgenza del tutto immediata. Ma pur riferendosi proprio a quest’ora tale appello riguarda in anticipo la storia futura della cristianità, di noi: ci ha insegnato il Padre nostro, non abbandonarci nella tentazione, liberaci dal Male, perché lo preghiamo ogni mattina e ogni sera. La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole per il potere del Male, del Maligno. Questa sonnolenza spirituale è un intorpidimento dell’anima, che non si lascia scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l’ingiustizia e da tutta la sofferenza che devastano la terra. E’ un’insensibilità che preferisce non percepire tutto ciò; si tranquillizza col pensiero che tutto, in fondo, non è poi tanto grave, per poter così continuare nell’autocompiacimento della propria esistenza soddisfatta. Ma questa insensibilità delle anime, questa mancanza di vigilanza sia per la vicinanza di Dio che anche dimenticato non dimentica, anche trascurato non trascura, anche tradito rimane fedele con l’attesa che ci lasciamo riconciliare, sia soprattutto per la potenza incombente del male che dà potere al Maligno nel mondo. Di fronte ai discepoli assonnati e non disposti ad allarmarsi, il Signore dice di se stesso:”La mia anima è triste fino alla morte”. E’ un versetto del Salmo 43,5.
Anche nella sua Passione – sul Monte degli ulivi come sulla Croce – Gesù parla di sé e a Dio Padre con parole dei Salmi. Quanto è importante nel Triduo pregare con le parole dei Salmi che sono diventate le parole assolutamente proprie di Gesù nella sua tribolazione.
Dopo questa esortazione alla vigilanza, Gesù si allontana un po’. Matteo e Marco ci dicono che Gesù cade faccia a terra: è la posizione di preghiera che esprime l’estrema sottomissione alla volontà di Dio, il più radicale abbandono a Lui; una posizione che la liturgia prevede ancora al Venerdì Santo, che qualche volta dovremmo anche noi esperimentare nella propria camera, come faceva spesso il beato Giovanni Paolo II.
Luca dice invece che Gesù prega in ginocchio. Inserisce così, in base alla posizione della preghiera, questa lotta notturna di Gesù nel contesto della preghiera cristiana. Stefano, durante la lapidazione, piega le ginocchia e prega per non soccombere alla tentazione del Maligno (At 7,60); Pietro si inginocchia prima di risuscitare Tabità dalla morte (At 9,40); Paolo si inginocchia, quando si congeda dai presbiteri di Efeso (At 20,36). Di fronte alla tentazione e alla morte tutti questi pregano in ginocchio.
Segue poi la preghiera vera e propria in cui è presente tutto il dramma della nostra redenzione, della nostra liberazione. Marco ci dice che Gesù pregava affinché, “se fosse possibile, passasse via da Lui quell’ora” (14,35). Riporta poi così alla lettera la frase essenziale della preghiera di Gesù che chiama Dio Padre Babbo mio:Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (14,36).
C’è innanzitutto lo sconvolgimento della paura di fronte al potere della morte, lo spavento davanti all’abisso del nulla, che lo fa tremare, anzi che, secondo Luca, lo fa sudare gocce di sangue (22,44).
Giovanni descrive lo sconvolgimento particolare di Colui che è la vita stessa davanti all’abisso di tutto il potere della distruzione, del male, di ciò che si oppone a Dio, e che ora gli crolla direttamente addosso, che Egli deve ora prendere immediatamente su di sé, anzi deve accogliere dentro di sé fino al punto da essere personalmente “fatto peccato” (2 Cor 5,21). Ma da questo ecco la grande notizia: Dio Padre non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte, con il sacramento della Riconciliazione ci risolleviamo, ci ama non solo quando e perché siamo buoni ma per farci buoni, suoi amici e dove abbonda il peccato sovrabbonda la sua inquietudine, la sua attesa, la sua pazienza.

(351) 1. Signore, dolce volto di pena e di dolor. O volto pien di luce colpito per amor! Avvolto nella morte, perduto sei per noi. Accogli il nostro pianto, o nostro Salvatori!
2. Nell’ombra della morte resistere non puoi. O Verbo, nostro Dio, in crocesei per noi. Nell’ora del dolore ci rivolgiamo a te. Accogli il nostro pianto, o nostro Salvator!
3. O capo insanguinato del dolce mio Signor. Di spine incoronato, trafitto dal dolor! Perché son sì spietati gli uomini con te? Ah, sono i miei peccati! Gesù, pietà di me!
4. O Padre di clemenza, di viva carità; ritorno alla tua casa da triste povertà. Perdona i miei peccati, accoglimi con te. Rivestimi di grazia: pietà, Signor, di me!
5. O Padre della vita, dolcissimo Signor: al mondo hai dato il Figlio, divino Redentor. In Cristo, nostra Pasqua, ci guardi con bontà: dimentica le colpe! Di noi, Signor, pietà!

Venire processionalmente, incominciando da quelli in fondo alla Chiesa, per l’unzione con l’Olio benedetto: è il sacramentale cioè l’essere, anche questa sera, raggiunti, toccati, attraverso il segno materiale, dall’azione invisibile del Risorto mentre abbiamo presenti quelle speranze di liberazione, di guarigione, di consolazione per cui siamo qui convenuti in preghiera con sempre, però, all’orizzonte la grande speranza, la grande e sicura meta che giustifica anche la fatica del vivere, del cammino. Attendendo seduti possiamo ritornare, attraverso i fogli, in qualche punto che lo Spirito santo ci ha fatto particolarmente sentire, comprendere, gustare e a cui convertirci in rapporto al vissuto personale, coniugale, verginale, comunitario, parrocchiale, sociale e quindi cantare o ascoltare il canto come preghiera.

(67) O Gesù ti adoro, ostia candida, sotto un vel di pane, nutri l’anima, solo in Te il mio cuore si abbandonerà. Perché tutto è vano se contemplo Te.
Ora guardo l’ostia, che si cela a me, ardo dalla sete di vedere Te: quando questa carne si dissolverà, il tuo viso luce, si disvelerà. Amen

Preghiamo. O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberato dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l’immagine sull’uomo terreno, così per l’azione del tuo Spirito, fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Per Cristo nostro Signore..

Amen

Dio sia benedetto…

Ed ora il sacramentale dell’acqua benedetta ed esorcizzata

Preghiamo. Signore Dio onnipotente fonte e origine della vita dell’anima e del corpo, benedici + quest’acqua e fa che ce ne serviamo con fede per implorare il perdono dei nostri peccati e la grazia di essere sorretti in ogni infermità e difesi da ogni insidia del nemico. La tua misericordia, o Padre, faccia scaturire per noi l’acqua viva della salvezza, perché possiamo accostarci a Te, con cuore puro e fuggire ogni pericolo dell’anima e del corpo. Per Cristo nostro Signore.

Amen

Prossimo incontro 13 maggio

(366Stabat Mater dolorosa iuxta crucem, lacrimosa, dum pendebat Filius.
Santa Madre….

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