Ai sacerdoti

In ogni Papa si rende presente il Signore nella realtà obiettiva, ecclesiale e sacramentale. Anche il 266°, il pontificato di Francesco è una grande grazia e per questo mettiamo i nostri passi dietro i suoi, cercando di immedesimarci col suo magistero come ipotesi di lavoro sulla propria vita e come direttiva della carità pastorale. Il magistero di questo  Papa, nella globalità e continuità dei
266, non si contesta, ma neanche si ripete semplicemente, pensandolo e vivendolo in continuità dinamica o Tradizione e nel proprio carisma particolare, riconosciuto dalla Chiesa

L’attuale prelato dell’Opus Dei, mons. Javier Echevarria, in  occasione di un Convegno della Pontificia Universitàdel Santa Croce sul futuro beato Alvaro del Portillo, il prossimo 27 settembre, ha ringraziato il Santo Padre “per il dinamismo apostolico che sta diffondendo e per il suo interesse di stare vicino a ciascuno in particolare”. La spinta apostolica del Papa, ha aggiunto, “è un incentivo a far sì che tutti i cristiani si adoperino per portare l’amore e la misericordia di Gesù fino all’ultimo angolo del mondo”. Non a caso, “molti hanno riconosciuto in Papa Francesco il sacerdote autentico che prega molto e che sa ascoltare chi incontra”. Tutto ciò “è motivo di grande gioia filiale e di un profondo ringraziamento a Dio”.

Io sono grato di poter essere legato – Benedetto XVI in una lettera a Tornielli – da una grande identità di vedute e da una amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera”.

“Queste considerazioni sulla fede – in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale – intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle Lettere encicliche sulla carità e sulla speranza – Papa Francesco nella sua prima Lettera enciclica, nel suo documento di magistero al n.7 -. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi. Il Successore di Pietro, ieri, oggi e domani, è chiamato sempre a “confermare i fratelli” in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo”.
”Io sono figlio della Chiesa” – Papa Francesco - e tutto quello che è contenuto nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nel Dizionario della Dottrina sociale mi è dinnanzi come orizzonte globale cui tendere nel cammino della carità pastorale  discernendo in rapporto alle circostanze e alle persone da dove cominciare per metterli in cammino, come deve essere la carità di tutti i pastori, di tutti gli educatori. Qui, Papa Francesco nell’intervista alla Civiltà Cattolica, rifacendosi a Sant’Ignazio su come iniziare, educare alla fede, il pastore deve avere dinnanzi tutto il patrimonio di fede  e di morale cattolica discernendo, però, in rapporto ad ogni persona, in ogni circostanza, da dove partire per mettere in moto il cammino verso la totalità, personalmente e comunitariamente.  Il Concilio Vaticano II non è stato voluto per finalità dottrinali ma  pastorali e non è stato ancora realizzato perché pastorale, nel post- concilio, è stato frainteso come se la prassi fosse fonte di dottrina e quindi è venuta una pastorale senza la fedeltà dogmatica, dottrinale, ridotta a prassi, ritenuta addiritturafonte di dottrine nuove,come nel liberalismo radicale e nel marxismo, anche se nel nostro tempo l’evangelizzazione  è oggi possibile sopratutto  per contatto di gioia (Evangelii gaudium), da persona a persona, poiché dopo l’ubriacatura illuminista della sola ragione, rivoluzionando e cominciando da zero e buttando  nel cestino della storia tutte le utili luci anche per la ragione sorte lungo la storia della fede, nel post-moderno non  si ritiene più la ragione, addirittura, capace di arrivare alla verità, al bene in sé, a Dio creatore della natura e quindi dei principi non negoziabili della vita, della famiglia, della libertà di educazione finendo con una dittatura del relativismo ritenendo gli individui una mucchiata, senza relazioni e quindi spersonalizzati. E oggi la fede ha anche il compito medicinale di salvare la ragione stessa aiutandola ad essere se stessa (Fides et ratio) cioè originariamente aperta alla realtà in tutti gli ambiti immanenti e trascendenti cioè alla ricerca della verità, del bene, di Dio, di tutto quello che nella storia la fede, nell’immagine delle relazioni trinitarie dell’uomo e della donna,  ha prodotto, e quindi di Cristo, il solo futuro, la grande speranza, vincendo la tentazione satanica della mondanità cioè idolatrando il naturale senza la destinazione soprannaturale. Papa Francesco, come Benedetto XVI nella Caritas inVeritateritiene, come nel primo capitolo della Lumen fidei, “Abbiamo creduto all’amore” non si può portare la ragione alla ricerca della verità, del bene, di Dio, di Cristo senza partire dalla certezza dell’amore di Dio che arriva fino al perdono e quindi mai definire, pur valutando oggettivamente ciò che è bene e ciò che è male,  una persona anche dal male che fa “chi sono io per giudicare un omosessuale che ricerca Cristo?”. E come agli inizi dell’evangelizzazione la forte unità tra una fede amica dell’intelligenza e della libertà di ogni persona al centro della politica e una prassi di vita caratterizzata  dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano, ricco, potente ma “senza amore e senza misericordia” come lo vede san Paolo, così in altri momenti della storia cristiana, oggi in particolare, per la nuova evangelizzazione essenziale una fede amica dell’intelligenza con l’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti.

Il nostro Vescovo Mons. Zenti, nel ritiro quaresimale al clero, ha presentato un lungo intervento su “Lo stile di Papa Francesco per il ministero pastorale”. Ha rilevato che “entro i confini che vanno dalla modernità, agli inizi degli Anni sessanta del secolo scorso, fino ad oggi, non si può non riconoscere che si sono susseguiti sono stati davvero Papi della ProvvidenzaSenza retorica, si può affermare che ognuno è stato il Papa giusto al tempo giusto”.E ha esemplificato da papa Giovanni XXIII e Papa Benedetto XVI. Mons. Zenti osserva: Verrebbe subito da osservare: se nel conclave del 2005 al posto di Joseph Ratzinger fosse stato eletto, ed era possibile, Mario Bergoglio, gli sarebbe stato possibile esprimere fin da allora mentre l’ondata mediatica di anticattolicesimo si stava raggrumando ed estendendo, con quella immediatezza che lo connota, o sarebbe stato costretto a contenerla? Il collegio dei Cardinali, sotto l’ispirazione dello Spirito, ha eletto Ratzinger, perché per la Chiesa di allora occorrevaun martire della verità di fronte alla dittatura del relativismo (e un Padre – aggiungo io don Oliosi - per come ha proposto la Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo, a quella modernità segnata dalla sfiducia riguardo alla possibilità, per l’uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle cose divine e con i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche hanno sollevato riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo).
Per il tempo attuale della Chiesa, che ha bisogno di recuperare credibilità e fiducia soprattutto a livello popolare e anche a livello mediatico culturale, Papa Bergoglio è il dono della Provvidenza, grazie al suo straordinario carisma, alla sua personalità, alla sua storia e alle indicazioni fornite con autorevolezza dal collegio cardinalizio durante le sessioni preparatorie al Conclave, che hanno aperto alcune porte e hanno affidato al nuovo Pontefice alcune linee operative di intervento ormai maturate durante il pontificato di Papa Benedetto XVI”.

Ma cos’è questa persecuzione mediatica di cui renderci consapevoli per non essere travolti? La Chiesa – Mons. Negri, Arcivescovo di Ferrara – Comacchio e Abate di Pomposa, in un Messaggio alla Diocesi del 1 marzo 2014 – e i cristiani non possono accettare quello che accade ogni giorno sotto i nostri occhi, ossia che la persona e il magistero del Papa diventino oggetto delle più svariate manipolazioni e delle più diverse interpretazioni e strumentalizzazioni.
Tra l’altro è del tutto evidente quali siano i contesti ideologici da cui muovono questi tentativi di ridurre il papa alle proprie visioni ideologiche e ai propri progetti socio – politici”.

Uno degli interventi più lucidi, addirittura profetici, di Benedetto XVI sull’attuale momento storico di persecuzione anticristiana, soprattutto anticattolica (70 milioni i martiri in tutta la storia della Chiesa, di cui 45 milioni solo nel secolo scorso)  l’ha pronunciato mercoledì 15 agosto 2007 nell’Omelia della Solennità dell’Assunta. Nella sua grande opera ‘La Città di Dio’, Sant’Agostino dice una volta che tutta la storia umana, la storia del mondo, è una lotta tra due amori: l’amore di Dio fino alla perdita di se stesso, fino al dono di se stesso (comunione con Dio che prepara il Paradiso), e l’amore di sé fino al disprezzo di Dio, fino all’odio degli altri (questo che si indica con la parola inferno). Questa interpretazione della storia come lotta tra due amori, tra l’amore e l’egoismo, appare anche nella lettura tratta dall’Apocalisse, che abbiamo sentito ora. Qui, questi due amori appaiono in due grandi figure, il Dragone e l’Assunta. Innanzitutto vi è il Dragone rosso fortissimo, con una manifestazione impressionante e inquietante del potere senza grazia, senza amore, dell’egoismo assoluto, dell’errore, della violenza.
Nel momento in cui san Giovanni scrisse l’Apocalisse, per lui questo Dragone era realizzato nel potere degli imperatori romani anticristiani, da Nerone fino a Domiziano. Questo potere appariva illimitato; il potere militare, politico, propagandistico dell’impero romano era tale che davanti ad esso la fede, la Chiesa appariva come una donna inerme, senza possibilità di sopravvivere, tanto meno di vincere. Chi poteva opporsi a questo potere onnipresente, che sembrava in grado di fare tutto? E tuttavia, sappiamo che alla fine ha vinto la donna inerme, ha vinto non l’egoismo, non l’odio; ha vinto l’amore di Dio e l’impero romano si è aperto alla fede cristiana.
Le parole della Sacra Scrittura trascendono sempre il momento storico. E così, questo Dragone indica non soltanto il potere anticristiano dei persecutori della Chiesa di quel tempo, ma le dittature materialistiche anticristiane di tutti i periodi. Vediamo di nuovo realizzato questo potere, questa forza del Dragone rosso nelle grandi dittature del secolo scorso: la dittatura del nazismo e la dittatura di Stalin avevano tutto il potere, penetravano in ogni angolo, l’ultimo angolo. Appariva impossibile che, a lunga scadenza, la fede potesse sopravvivere davanti a questo Dragone così forte, che voleva divorare il Dio fattosi bambino e la donna, la Chiesa. Ma in realtà, anche in questo caso alla fine, l’amore fu più forte dell’odio.
Anche oggi esiste il Dragone in modi diversi…per cui sembra assurdo, impossibile opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile oggi ancora pensare (in pubblico) a un Dio che ha creato l’uomo e la donna, che si è fatto bambino e che sarebbe il vero dominatore del mondo. Anche adesso questo Dragone appare invincibile, ma anche adesso resta vero che Dio è più forte del Dragone, che l’amore vince e non l’egoismo”.  Ecco cosa significa anche oggi l’essenziale per il ministero del successore di Pietro: confermare in questa fede che Dio è più forte del Dragone, che l’amore vince e  non l’egoismo.

Le nuove conquiste tecniche della modernità, che hanno consentito uno sviluppo enorme sono iniziate in un periodo di lotta tra fedi, religioni diverse. Grozio ha proposto i principi e i valori cristiani della persona, sempre fine e mai strumento per altri o per altro nella democrazia, l’uguaglianza, la fraternità etsi Deus non daretur per sfuggire alle contrapposizioni religioseKant chiama tutto questo il tentativo di difendere i valori umani senza Cristo e senza la Chiesa e quindi anche Gesù nei puri limiti della ragione umana, non Dio che possiede un volto umano, senza l’apertura della ragione a Dio creatore, illuminismo che non voleva cancellare i valori cristiani ma renderli universali con il naturale senza il soprannaturale, il Risorto presente e operante nella Chiesa sacramentalmente, si è illuso di poterli vivere e conservare come religione nei puri limiti della ragione umana, senza l’apertura al Creatore, a Cristo, la Chiesa.
 A Verona, nel Discorso ai partecipanti al IV Convegno Ecclesiale Nazionale, il 19 ottobre 2006 Benedetto XVI descrive la persecuzione attuale del Dragone nella radicalizzazione della non presenza di Dio creatore a livello pubblico, provocando la drammatica frattura tra Vangelo e cultura, cioè “ quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è esperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più  direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura (illuministica), che era una rivendicazione della centralità di ogni uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente   nascosto bisogno di speranza”.

Di fronte a questa cultura contrassegnata da una grande carenza, addirittura oggi, diversamente dalla modernità illuministica, da una sfiducia nella ragione ritenuta incapace di cogliere la verità, il bene, Dio creatore, i principi non negoziabili della vita, della famiglia, della libertà di educazione e nello stesso tempo anche da un grande e inutilmente bisogno di speranza, come evangelizzare, quali priorità nella carità pastorale? Nella gerarchia delle verità quali verità essenziali nella carità pastorale?

Benedetto XVI a Verona: “Come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, all’inizio dell’essere cristiano – e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti – non c’è una decisione etica una grande idea ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, ‘che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva’(1)”. Il bisogno di speranza può trovare risposta in una fede vissuta come relazione con il Dio figlio che possiede un volto umano che ci ha amati sino alla fine, personalmente e come umanità, presente e operante nel suo corpo che è la Chiesa, esperimentando la gioia di essere amati dal Padre fino al perdono e di poterlo incontrare in ogni volto umano soprattutto nella carne dei piccoli innocenti, dei poveri, dei sofferenti, degli anziani.

Papa Francesco pur, “come figlio della Chiesa”, non smentendo nessuna verità del patrimonio di fede cattolica, nessun principio sociale sulla vita, sulla famiglia, sulla libertà di educazione, nella nuova evangelizzazione, nella carità pastorale in questo contesto storico insiste sulla priorità del Kerigma, sul primo annuncio essenziale per incontrare la presenza ecclesiale di Gesù Cristo anche oggi cioè per essere cristiani e quindi tutte le conseguenze etiche, morali, sociali. Come ha detto come opinione nell’intervista il 19 settembre a Civiltà Cattolica e soprattutto come magistero nell’esortazione pastorale Evangelii gaudium dà la direttiva di insistere su “ciò che fa ardere il cuore come ai discepoli di Emmaus”, sull’essenziale, sul Vangelo, sulla presenza ecclesiale, particolarmente nei poveri, del Crocefisso risorto, su ciò che c’è di più bello, di più grande, di più attraente e nello stesso tempo di più necessario nel recupero della fede o nuova evangelizzazione anche per la ragione, riaprendola alla globalità dei fattori cioè alla ricerca della verità, del bene, di Dio e, scorgendo le utili luci sorte lungo la storia della fede, su questa strada aprirsi a Cristo. Tenendo conto della conciliare gerarchia delle verità, senza negarne alcuna, occorre una proporzione adeguata nella frequenza con la quale alcuni argomenti o accenti vengono inseriti nella predicazione e nella catechesi. Se si parla più della legge, del riuscire come fondamento della morale (illuministicamente il dovere per il dovere!) anziché dell’incontro sacramentale con la persona di Gesù Cristo,  la morale cristiana, cattolica rischia di apparire un “castello di carta”: e qui il rischio che il messaggio perda la sua freschezza e cessi di avere quella tensione che è la natura della morale evangelica: occorre tentare e ritentare con fiducia e speranza in tutti gli ambiti della moralità, anche non riuscendo, con la fede che sarà Lui a portare a compimento se trovati all’opera fino al momento terminale.
“Chi sono io per giudicare un gay che cerca Cristo?” Certo omosessualità, gay o omosessualità conclamata, non è conforme alla natura creata da Dio e l’azione va giudicata, ma mai la persona che la compie. Fino al compimento di questa vita resta l’amore del Padre per ognuno buono o cattivo, con il dono dello Spirito di Cristo nella Chiesa, che dà la possibilità di giungere a rendersi conto del peccato e lasciarsi riconciliare. Al n. 4 dell’Evangelii gaudiumche si rifà continuamente all’Evangelii nuntiandi di Paolo VI, la più importante esortazione post-sinodale, datata l’8 dicembre del1975, a dieci anni dalla conclusione del Concilio e continuamente citata da Papa Francesco: “Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare “settanta volte sette” (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e di ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti”.
“Non possiamo insistere solo sulle questioni legate all’aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi – intervista a Padre Spadaro , Direttore di Civiltà Cattolica -. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce. E io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”.
“Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrina da imporre  con insistenza. L’annuncio missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un equilibrio altrimenti anche l’edificazione morale della Chiesa rischia decadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. E’ da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali”.
“Dico questo anche pensando alla predicazione. Una bella omelia, una vera omelia, deve cominciare con il primo annuncio, con l’annuncio della salvezza. Non c’è niente di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio. Poi si deve fare una catechesi. Infine si può tirare anche una conseguenza morale e religiosa. Oggi a volte sembra che prevalga l’ordine inverso. L’omelia è la pietra di paragone per calibrare la vicinanza e la capacità di incontro di un pastore con il suo popolo, perché chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio. Il messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù”.
“Il lavoro – sempre con Padre Spadaro – della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta…la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile. Poi ci sono questioni particolari come la liturgia secondo ilVetus Ordo. Penso che la scelta di Papa Benedetto sia stata prudenziale, legata all’aiuto di alcune persone che hanno questa particolare sensibilità. Considero invece preoccupante il rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione”.
“Dio – con Padre Spadaro – lo si incontra camminando, nel cammino. E qualcuno potrebbe dire che questo è relativismo. E’ relativismo? Sì, se è inteso male, come una specie di panteismo indistinto. No, se è inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non si sa mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui. Bisogna dunque discernere l’incontro. Per questo il discernimento è fondamentale.
Se il cristiano è restaurazione statica, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza”, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona. Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può  crescere. Bisogna fidarsi di Dio”.
“Una pastorale in chiave missionaria – Evangelii gaudium n. 35 – non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrina da imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa”.
(Eg 36)“Tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio, manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. In questo senso, Il Concilio Vaticano II ha affermato che ‘esiste un ordine o piuttosto una ‘gerarchia’ delle verità nella dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso con il fondamento della fede cristiana’ (Unitatis redintegratio, 11). Questo vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale”.
(Eg 37). “San Tommaso insegnava che anche nel messaggio morale della Chiesa c’è una gerarchia, nelle virtù e negli atti che da esse procedono. Qui ciò che conta è anzitutto “la fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5,6). Le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito: “(Dalla Summa Theologiae) L’elemento principale della nuova legge è la grazia dello Spirito santo, che si manifesta nella fede che agisce per mezzo dell’amore”. Per questo afferma che, in quanto all’agire esteriore, la misericordia è la più grande di tutte le virtù: “La misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad altri, e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui. Ora questo compito specialmente di chi è superiore, ecco perché si dice che è proprio di Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza”.
/Eg 38). “E’ importante trarre le conseguenze pastorali dell’insegnamento conciliare che raccoglie un’antica convinzione della Chiesa. Anzitutto bisogna dire che nell’annuncio del Vangelo è necessario che ci sia una adeguata proporzione. Questa si riconosce nella frequenza con la quale si menzionano alcuni temi e negli accenti che si pongono nella predicazione. Per esempio, se un parroco durante l’anno liturgico parla dieci volte sulla temperanza e solo due o tre volte sulla carità o sulla giustizia, si produce una sproporzione, per cui quelle che vengono oscurate sono precisamente quelle virtù che dovrebbero essere più presenti nella predicazione e nella catechesi. Lo stesso succede quando si parla più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio”.
(Eg 39). “Così come l’organicità tra le virtù impedisce di escludere qualcuna di esse dall’ideale cristiano, Nessuna verità è negata. Non bisogna mutilare l’integralità del messaggio del Vangelo. Inoltre, ogni verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente. Quando la predicazione è fedele al Vangelo, si manifesta con chiarezza la centralità di alcune verità e risuona chiaro che la predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati e di errori. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere a Dio che ci ama e ci salva riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti. Questo invito non va oscurato in nessuna circostanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta d’amore. Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carta e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche. Il messaggio correrà il rischio di perdere la sua franchezza e non avere “il profumo del Vangelo”.
Benedetto XVI: “Cari amici, ripetutamente l’immagine dei santi è stata sottoposta a caricatura e presentata in modo distorto, come se essere santo significasse essere fuori dalla realtà, ingenui e senza gioia. Non di rado si pensa che un santo sia soltanto colui che compie azioni ascetiche e morali di altissimo livello e che perciò certamente si può venerare, ma mai imitare nella propria vita. Quanto è errata e scoraggiante questa opinione! Non esiste alcun santo, fuorché la beata Vergine Maria, che non abbia conosciuto anche il peccato e che non sia mai caduto. Cari amici, Cristo non si interessa tanto quante volte nella vita vacilliamo e cadiamo,
bensì a quante volte noi, con il suo aiuto ci rialziamo” (Freiburg im Breisgau, 2011). 

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