Benedetto XVI aperto alla verità dovunque si trovi

In una accezione oggi quasi perduta Benedetto XVI è aperto alla verità dovunque si trovi, si confronta con il pensiero non solo dei teologi cattolici, ma anche dei portavoce di altre religioni, dei progressisti laicisti, degli atei, e dei filosofi pagani e antireligiosi del passato e del presente. Con questo atteggiamento distingue tra “laicismo” e “sana laicità” e per questo insiste sul primo dei diritti cioè la libertà di religione a fondamento delle leggi, delle regole per evitare il positivismo sia politico che giuridico

“Uno degli aspetti più memorabili della mia visita pastorale negli Stati Uniti  è stata l’opportunità che mi ha offerto di riflettere sull’esperienza storica americana della libertà
religiosa, e più specificamente sul rapporto tra religione e cultura. Al centro di ogni cultura, percepito o no, vi è un consenso riguardo alla natura della realtà e del bene morale, e quindi sulle condizioni per la prosperità umana. In America tale consenso, così come è racchiuso nei documenti fondanti la nazione, si basava su una visione del mondo modellata non soltanto sulla fede, ma anche dall’impegno verso determinati principi etici derivanti dalla natura e dal Dio della natura. Oggi tale consenso si è ridotto in modo significativo dinnanzi a nuove e potenti correnti culturali, che non solo sono direttamente opposte a vari insegnamenti morali centrali della tradizione giudaico  - cristiana, ma anche sempre più ostili al cristianesimo in quanto tale.

Da parte sua, la Chiesa negli Stati Uniti è chiamata, in ogni tempo opportuno e non opportuno, a proclamare il vangelo che non solo propone verità morali immutabili, ma le propone proprio come chiave per la felicità umana e la prosperità sociale (Gaudiun et spes, n. 10). Nella misura in cui alcune tendenze culturali attuali contengono elementi che vogliono limitare la proclamazione di tali verità, o racchiudendole entro i confini di una razionalità meramente scientifica o sopprimendola nel nome del potere politico e del governo della maggioranza, esse rappresentano una minaccia non solo per la fede cristiana, ma anche per l’umanità stessa e per la verità più profonda sul nostro essere e sulla nostra vocazione ultima, il nostro rapporto con Dio. Quando una cultura tenta di sopprimere la dimensione del mistero ultimo e di chiudere le porte alla verità trascendente, inevitabilmente s’impoverisce e diviene preda, come ha intuito chiaramente il compianto Papa Giovanni Paolo II,di una lettura riduzionistica e totalitaristica della persona umana e della natura della società.

Con la sua lunga tradizione di rispetto del giusto rapporto tra fede e ragione, la Chiesa ha un ruolo cruciale da svolgere nel contrastare le correnti culturali che, sulla base di un individualismo estremo, cercano di promuovere concetti di libertà separati dalla verità morale. La nostra tradizione non parla a partire da una fede cieca, bensì da una prospettiva razionale che lega il nostro impegno per costruire una società autenticamente giusta, umana e prospera alla nostra certezza che l’universo possiede una logica interna accessibile alla ragione umana. La difesa della Chiesa di un ragionamento morale basato sulla legge naturale si fonda sulla sua convinzione che questa legge non è una minaccia alla nostra libertà, bensì una “lingua” che ci permette di comprendere noi stessi e la verità del nostro essere, e di modellare in tal modo un mondo più giusto e più umano. Essa propone il suo insegnamento morale come un messaggio non di costrizione, ma di liberazione, e come base per costruire un futuro sicuro.

La testimonianza della Chiesa, dunque, è per sua natura pubblica: essa cerca di convincere proponendo argomenti razionali nella pubblica piazza. La legittima separazione tra Chiesa e Stato non può essere interpretata come se la Chiesa dovesse tacere su certe questioni, né come se lo Stato potesse scegliere di non coinvolgere, o essere coinvolto, dalla voce di credenti impegnati nel determinare i valori che dovranno forgiare il futuro della nazione.

Alla luce di queste considerazioni, è fondamentale che l’intera comunità cattolica negli Stati Uniti riesca a comprendere le gravi minacce alla testimonianza morale pubblica della Chiesa che presenta un secolarismo radicale, che trova sempre più espressione nelle sfere politiche e culturali. La gravità di tali minacce deve essere compresa con chiarezza a ogni livello della vita ecclesiale. Particolarmente preoccupanti sono certi  tentativi fatti per limitare la libertà più apprezzata in America, la libertà di religione. Molti di voi hanno sottolineato che sono stati compiuti sforzi concentrati per negare il diritto all’obiezione di coscienza degli individui e delle istituzioni cattoliche per quanto riguarda la cooperazione a pratiche intrinsecamente cattive.  Altri mi hanno parlato di una preoccupante tendenza a ridurre la libertà di religione a una mera libertà di culto, senza garanzie per il rispetto della libertà di coscienza.
Qui, ancora una volta, vediamo la necessità di un laicato cattolico impegnato, articolato e ben preparato, dotato di un senso critico forte dinnanzi alla cultura dominante e del coraggio di contrastare un secolarismo riduttivo che vorrebbe delegittimare la partecipazione della Chiesa al dibattito pubblico sulle questioni che determineranno la futura società americana. La preparazione di leader laici impegnati e la presentazione di un’articolazione convincente della visione cristiana dell’uomo e della società continuano ad essere il compito principale della Chiesa nel vostro paese; quali componenti essenziali della nuova evangelizzazione, queste preoccupazioni devono modellare la visione e gli obiettivi dei programmi catechetici a ogni livello.
A tale riguardo, vorrei menzionare i vostri sforzi a mantenere i contatti con i cattolici coinvolti nella vita politica e per aiutarli a comprendere la loro responsabilità personale di dare una testimonianza pubblica della loro fede, specialmente per quanto riguarda le grandi questioni morali del nostro tempo: il rispetto della vita dono di Dio, la tutela della dignità umana e la promozione di diritti umani autentici, il rispetto per la giusta autonomia della sfera secolare deve tenere conto anche della verità che non esiste un regno di questioni terrene che possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio (Gaudium et spes, n. 36). Non c’è alcun dubbio che una testimonianza più coerente da parte dei cattolici d’America delle loro convinzioni più profonde darebbe un importante contributo al rinnovamento della società nel suo insieme (e in questo momento di globalizzazione a tutto il mondo)” (Benedetto XVI, Al gruppo degli Ecc.mi Presuli della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, 19 gennaio 2012).

La lucidità e l’attualità del giudizio di Benedetto XVI di fronte a quella cultura che predomina in  Europa, anzi in tutto l’Occidente e che vorrebbe, con una potenza mediatica inaudita, porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita, è  di una evidenza straordinaria. Oggi questa cultura, attraverso i massmedia, strumentalizza Papa Francesco come “rivoluzionario” contro Benedetto XVI il cui magistero ha la forza di un Padre della Chiesa. Questo l’ obiettivo architettonico del magistero di Benedetto XVI: costruire il quadro del rapporto tra la fede cattolica e la ragione nel Terzo millennio, fondandolo sulla centralità di Dio creatore. Ciò vale anche per il tema del potere politico,  giudiziario, finanziario della società, autonomo quanto a linguaggi e metodi, ma senza Dio non si conosce fino in fondo. Nei suoi grandi discorsi, soprattutto RegensburgBundestag di Berlino, Collège des Bernardins di Parigi, Università della Sapienza, spiega la centralità di Dio creatore che non soffoca l’autonomia del temporale, ma la rischiari e la sostenga e, indirizzandola, anche la purifichi, rendendola maggiormente se stessa. Sono discorsi che non sembrano dedicati espressamente al tema politico , ma ne gettano le basi, ne disegnano i contorni e ne definiscono i contenuti alla luce   della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa – Dignitatis humanaela Chiesa abbandonò la sua tradizionale pretesa che il cattolicesimo dovesse essere privilegiato giuridicamente perché contrariamente alla grani religioni il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una Rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto, ha rimandato alla ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio, con al centro non la polis, la razza, la religione, ma ogni persona nel suo essere dono irripetibile del Creatore, coglibile anche con la ragione, come san Paolo ricorda nella lettera ai Romani, dove compaiono che quanto la Legge esige è scritto nel cuore di ogni uomo, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza. Qui compaiono i due concetti fondamentali di natura e coscienza indivisibili, in cui “coscienza” non è altro che il “cuore docile” di Salomone nella distinzione di bene e male, la ragione aperta al linguaggio dell’essere. Questa rivoluzione cristiana divenuta cultura in Europa e in Occidente fino all’epoca dell’Illuminismo, della Dichiarazione dei Diritti umani dopo la seconda guerra mondiale e fino alla formazione anche della Costituzione italiana, tedesca e di tante altre.La Dignitatis huamae accolse la libertà intrinseca, radicale di ognuno di poter essere religioso in privato e in pubblico, potendo non esserlo, di poter esserlo potendo non esserlo secondo coscienza. Spinse i laici cattolici, in quest’epoca di democrazie laiche, a portare il vangelo nello spazio pubblico visto il loro diritto a partecipare votando e legiferando per il bene comune cioè di ogni uomo dal concepimento fino al termine naturale.
L’Editore Cantagalli ha pubblicato questi contenuti in “IL  Posto di Dio nel Mondo. Potere, politica, legge”Esso si rifà al fondamento dell’esperienza iniziale della società americana dove c’è una separazione tra chiesa e stato determinata, anzi reclamata e dall’originario date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio e dalla protezione della religione stessa nel suo spazio vitale, autonomo che lo stato deve lasciare libero. Vi è il “dialogo” fra Ryan e Benedetto XVI. I concetti di diritti umani e libertà religiosa furono sviluppati in principio da pensatori che attingevano alle radici cristiane della cultura europea. La maggior parte dei fondatori appartenevano a confessioni cristiane e condivideva i “principi etici” comuni della cultura cristiana occidentale. Il consenso generale riconobbe la connessione intima tra moralità e credo religioso. Nella discussione conciliare sulla libertà religiosa l’esperienza americana, attraverso Padre Murray, di un governo senza una religione ufficiale fu accettata come dottrina cattolica. In America la libertà religiosa incoraggiava la fede in Dio e lo spazio per la religione in politica e nella società diversamente dalla Rivoluzione francese in Europa dove la libertà religiosa era generalmente ancorata nell’indifferenza o nell’ostilità alle verità di fede. Benedetto XVI riconosce il contrasto tra queste posizioni culturali e politiche riguardo al ruolo della religione nella società e vede che, purtroppo, si estende oggi anche in America. Alla luce del Concilio Vaticano II distingue tra “laicismo” e “sana laicità”. Il “laicismo”, che oggi con una potenza mediatica universale e persecutoria, è un atteggiamento di “esclusione della religione dal contesto sociale e di confine della coscienza individuale”.Esso richiede che lo “stato…consideri la religione semplicemente come un sentimento individuale da confinare nella sola sfera individuale”,  con una radicale riduzione dell’uomo a semplice prodotto ella natura. Come tale non libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale e quindi  poter mettere a scelta maggioritaria chi vivere e chi uccidere, unioni naturali nel matrimonio e altre unioni, con un positivismo politico e giuridico che affida tutto alle sole regole arbitrarie.
Veramente non si può far a meno, nell’accoglienza di fede anche dello straordinario carisma pastorale di Papa Francesco, del magistero di Benedetto XVI come un Padre della Chiesa all’inizio del terzo millennio.

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