Il saluto di Benedetto XVI‏


“Cari fratelli e sorelle, questa Parola di Dio (della Trasfigurazione) la sento in modo particolare rivolta a me, in questo momento della mia vita. Grazie! Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in modo più adatto alla mia età e alle mie forze.Invochiamo l’intercessione della Vergine Maria: lei ci aiuti a seguire sempre il Signore Gesù, nella preghiera e nella carità operosa” (Benedetto XVI, Angelus, 24 febbraio 2013). 
Il Primato del successore di Pietro sul Corpo episcopale e su tutti i fedeli è un dono del Signore alla sua Chiesa e non è minimamente toccato dalla rinuncia di Benedetto XVI.  Il Sommo Pontefice, che non può essere deposto da nessuno, nemmeno da un Concilio, ha il pieno diritto di rinunciare alla sua missione. Quando abdica egli esercita un atto sovrano che in nulla scalfisce il suo supremo potere di giurisdizione. Il Papa resta ontologicamente, l’unico supremo legislatore della chiesa universale. Si tratta
di un dogma di fede. I canoni 33 (1) e 333 del nuovo codice di diritto canonico, definiscono l’autorità del Pontefice romano come un potere di governo supremo, perché nessuna autorità è a lui uguale e nessuno può giudicarlo; plenario, perché, nelle cose di fede e di morale, è un potere illimitato in estensione ed intensità; universale, perché è esteso su tutti e singoli vescovi e su tutti e singoli i fedeli; immediato, perché il Papa può esercitare il suo diritto di intervento diretto in qualsiasi momento, in ogni campo, su qualsiasi persona.
A questa struttura do governo si aggiunge quello di magistero in continuità o Tradizione, che comporta a determinate condizioni, il carisma dell’infallibilità. Benedetto XVI, pur godendo di tutti questi poteri, non ha ritenuto opportuno esercitarli nella sua pienezza attento alla teologia e alla struttura del Corpo episcopale richiamata dal Concilio Vaticano II. Con atto libero e consapevole, ha rinunciato a esercitare non solo il potere di infallibilità del suo magistero, ma anche il supremo potere di governo, fino al punto di rimettere a Cristo e alla chiesa il munus che il 19 aprile 2005 aveva accettato liberamente accettato come umile artigiano.
Ma il magistero ordinario, nella continuità della Tradizione, rimane un punto continuo di riferimento come per tutti i 265 Pontefici. Ma qualìè il dono di magistero che ci lascia Benedetto XVI?
In un libro di commento sulla Regola di san Benedetto, Ratzinger scrive: “L’unione profondamente amorevole e personale con Cristo è la pietra d’angolo della spiritualità di Benedetto”. Naturalmente si riferiva al Santo, ma lo stesso si può dire anche di Benedetto XVI.
E’ evidente la devozione di Benedetto XVI per san Benedetto, al punto che ha scelto il suo nome come omaggio al santo. E’ altrettanto nota la sua ammirazione per la Regola, semplice e tuttavia profonda, che nel corso dei secoli ha guidato tante persone sulla strada dell’assimilazione a Cristo ed è all’origine, la radice della cultura cristiana europea.
Pur essendo le omelie, le catechesi del Papa un magistero ordinario molto vario e creativo, fanno sempre eco al consiglio fondamentale della Regola e lo mettono in pratica: nulla anteporre a Cristo. Queste straordinarie omelie e  catechesi testimoniano in modo eloquente il desiderio e l’impegno di Benedetto XVI a non avere niente di più caro dell’incontro con la persona viva di Cristo soprattutto nella Divina Liturgia.
Pertanto, il Papa, in tutto l’esercizio del suo ministero petrino, ha dato una testimonianza eloquente del fatto che l’amicizia intima con Gesù Cristo è al centro stesso della Liturgia, della vita e della preghiera cristiana.
C’è però una seconda testimonianza che permea il magistero di Benedetto XVI. Quel Gesù di Nazareth, che conosciamo personalmente come amico, è lo  stesso di Dio incarnato, Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Attraverso il suo andare sulla croce e la sua risurrezione nella potenza dello Spirito Santo, Gesù rivela che il Logos è Amore. Il principio ultimo dellaintelligibilità e del significato dell’intero universo è l’Amore generoso e misericordioso. Con la sua formazione essenzialmente biblica, patristica e liturgica ha affrontato le problematiche attuali. E il suo atteggiamento riguardo a queste ultime ha denotato acute capacità critiche, ma con una grande volontà costruttiva, una grande apertura e anche simpatia. E riguardo al tema sulla Verità salvifica di Gesù Cristo alla ragione del nostro tempo” egli parte dalla convinzione che al termine del secondo millennio, il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa,in una crisi drammatica di fede, profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità. Questa crisi ha una duplice dimensione:
-         la sfiducia riguardo alla possibilità per l’uomo, di conoscere la verità su Dio e sulle  cose divine.
-         I dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, hanno sollevato riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo.
Il Concilio Vaticano II, quello di fede, reale e non quello mediatico che si è imposto, è un grande aiuto insieme al magistero post-conciliare. John Henry Newman, beatificato da Benedetto XVI, nelle sue Conferenze sulla dottrina della giustificazione scrisse: “Cristo è venuto proprio a questo fine, ovvero per riunire in uno tutti gli elementi di bene dispersi nel mondo, per farli propri, per illuminarli con se stesso, per riformarli e rimodellarli in se stesso”. Questo senso profondo della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo corre come un filo d’oro  da Paolo, passando per Ireneo, fino a Newman e a Ratzinger. Nel suo libro Gesù di Nazareth. Dal battesimo alla trasfigurazione, il Papa scrive: “Gesù deve ricapitolare tutta la storia dal suo principio, a partire da Adamo; deve attraversarla  e soffrirla tutta fino al trasformarla”.
Tra gli straordinari contributi magisteriali che Benedetto XVI lascia alla Chiesa c’è la rinnovata comprensione che la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II è il fondamento sul quale poggiano i documenti conciliari. La chiara affermazione, nella Dei Verbum, secondo cui “la profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione” deve essere il punto di partenza imprescindibile sia per la riforma costante della Chiesa, sia per la nuova evangelizzazione. Senza il Cristo vivo nella Chiesa la Scrittura è solo un libro e non parola di Dio.
Altro contributo magisteriale che Benedetto ci lascia è quindi la sua perseverante testimonianza che Gesù Cristo è l’autobasilea: il regno di Dio in Persona. Come ha scritto nell’Esortazione Apostolica Verbum Domini, “nella Chiesa veneriamo grandemente le Sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una ‘religione del Libro’: il cristianesimo è la ‘religione della Parola di Dio’, non di ‘una parola scritta o muta, ma del Verbo incarnato e vivente” (n.7).Come afferma la Lettera agli Ebrei:” Gesù è sempre vivo per intercedere a nostro favore” (7,25).
Il terzo contributo magisteriale di Benedetto XVI attinge dal Vangelo di Giovanni. Quante volte nelle sue omelie e nei suoi scritti ha meditato sulla grande scena del processo di Gesù dinnanzi a Pilato. Quest’ultimo gli pone qui la domanda fondamentale: “Che cos’è la verità?” (Gv 18,38). Nel suo libro Gesù di Nazareth. Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione Benedetto XVI  fa due commenti indicativi su questa scena. Scrive: “Verità e opinione errata, verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabileLa verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare”. E poi afferma: “In Cristo, Dio – la Verità – è entrato nel mondo”. E, tragicamente, il mondo ha crocefisso la Verità di Dio. Solo alla luce della verità di Cristo, però, gli uomini e le donne trovano la libertà, ovvero la liberazione dal proprio stretto interesse personale, per diventare veramente se stessi in Cristo. A marzo dello scorso anno, in Plaza de la Revoluciòn a la Habama, Benedetto XVI ha affermato: “Con la ferma convinzione che Cristo è la vera misura dell’uomo, e sapendo che in Lui si trova la forza necessaria per affrontare ogni prova, desidero annunciarvi apertamente il Signore come Via, Verità e Vita.In Lui troveranno la piena libertà, la Luce per capire in profondità la realtà e trasformarla con il potere rinnovatore dell’amore”.
Benedetto XVI Ratzinger ha esplorato questo tema della verità e della libertà in innumerevoli variazioni sinfoniche. Ma mai lo ha fatto in modo più commovente ed eloquente di quando ha liberamente rinunciato al ministero petrino per amore di Cristo e della sua Chiesa.
Di fatto, le tre testimonianze di Benedetto non sono che una sola: L’amicizia personale con Cristo, la professione che Gesù è la presenza viva di Dio in mezzo a noi, che ci ama non solo perché o quando siamo buoni ma per farci suoi amici, quindi buoni, e che in Gesù troviamo la verità che ci rende liberi, l’amore del Padre che non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte con Cristo, con il dono del Suo Spirito ci rialziamo, sono il provvidenziale triplice magistero che egli lascia alla Chiesa di Dio. E di ciò gli rendiamo grazie. Io in particolare sempre impegnato alla sua scuola, soprattutto in questi quasi otto anni. 

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