Pensieri natalizi di fede‏


Nell’Anno della fede riflessioni natalizie di Benedetto XVI

“Nel Te Deum è contenuta una saggezza profonda, quella saggezza che ci fa dire che, nonostante tutto, c’è del bene nel mondo, e questo bene è destinato a vincere grazie a Dio, al Dio di Gesù Cristo, incarnato, morto e risortoCerto, a volte è difficile cogliere questa profonda realtà, poiché il male fa più rumore del bene;un omicidio efferato, delle violenze diffuse, delle gravi ingiustizie fanno notizia; al contrario i gesti di amore e di servizio, la fatica quotidiana sopportata con fedeltà e pazienza rimangono spesso in ombra, non emergono. Anche per questo motivo non possiamo fermarci solo alle notizie se vogliamo capire il mondo e la vita; dobbiamo essere capaci di sostare nel silenzio, nella
meditazione, nella riflessione calma e prolungata; dobbiamo saperci fermare per pensare. In questo modo il nostro animo può trovare guarigione dalle inevitabili ferite del quotidiano, può scendere in profondità nei fatti che accadono nella nostra vita e nel mondo, e giungere a quella sapienza che permette di valutare le cose con occhi nuovi. Soprattutto nel raccoglimento della coscienza, dove ci parla Dio, si impara a guardare con verità le proprie azioni, anche il male presente in noi e intorno a noi, per iniziare un cammino di conversione che renda più saggi e più buoni, più capaci di generare solidarietà e comunione, di vincere il male con il bene. Il cristiano è un uomo di speranza, anche e soprattutto di fronte al buio che spesso c’è nel mondo e che non dipende dal progetto di Dio ma dalla scelte sbagliate dell’uomo, perché sa che la forza della fede può spostare le montagne (Mt 17,20): il Signore può illuminare anche la tenebra più profonda.
L’Anno della fede, che la Chiesa sta vivendo, vuole suscitare nel cuore di ciascun credente una maggiore consapevolezza che l’incontro con Cristo è la sorgente della vera vita e di una solida speranza. La fede in Gesù permette un costante rinnovamento nel bene e la capacità di uscire dalle sabbie mobili del peccato e di ricominciare di nuovo. Nel Verbo fatto carne è possibile, sempre nuovamente, trovare la vera identità dell’uomo, che si scopre destinatario dell’infinito amore di Dio e chiamato alla comunione personale con Lui. Questa verità che Gesù Cristo è venuto e rivelare, è la certezza che ci spinge a guardare con fiducia all’anno che stiamo per iniziare.
La Chiesa, che ha ricevuto dal suo Signore la missione di evangelizzare, sa bene che il vangelo è destinato a tutti gli uomini, in particolare alle nuove generazioni, per saziare quella sete di verità che ognuno porta nel cuore e che spesso è offuscata da tante cose che occupano la vita.Questo impegno apostolico è tanto più necessario quando la fede rischia di oscurarsi in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e la presenza sociale…
Per poter annunciare il vangelo e permettere a quanti non conoscono Gesù, o lo hanno abbandonato, di varcare nuovamente la porta della fede e vivere la comunione con Dio, è indispensabile conoscere in maniera approfondita il significato delle verità contenute nella Professione di Fede. L’impegno allora per una formazione sistematica degli operatori pastorali è una preziosa via che richiede di essere perseguita con impegno per formare laici che sappiano farsi eco del Vangelo” (Benedetto XVI, Vespri e Te Deum di Ringraziamento, 31 dicembre 2012).

“Nonostante il mondo sia purtroppo ancora segnato da “focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti disuguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica ed individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sgregolato”, oltre che da diverse forme di terrorismo e criminalità, sono persuaso che “le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano nel’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa misura, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo messaggio alle parole di Gesù Cristo: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9)” (Messaggio, 1)Questa beatitudine “dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo…E’ pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontàE’ pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato” (ibid., 2 e3). Sì, la pace è il bene per eccellenza da invocare come dono di Dio e,al tempo stesso, da costruire con ogni sforzo…
Ecco, cari fratelli, il fondamento della nostra pace: la certezza di contemplare in Gesù Cristo lo splendore del volto di Dio Padre, di essere figli nel Figlio, e avere così, nel cammino della vita, la stessa sicurezza che il bambino prova nelle braccia di un Padre buono e onnipotente. Lo splendore del volto del Signore su di noi, che ci concede pace, è la manifestazione della sua paternità; il Signore rivolge su di noi il suo volto, si mostra Padre e ci dona pace. Sta qui il principio di quella pace profonda – “pace con Dio” – che è legata indissolubilmente alla fede e alla grazia, come scrive san Paolo ai cristiani di Roma (Rm 5,2). Niente può togliere ai credenti questa pace, nemmeno le difficoltà e le sofferenze della vita, Infatti, le sofferenze, le prove e le oscurità non corrodono, ma accrescono la nostra speranza, una speranza che non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).” (Benedetto XVI, Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e XLVI Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2013).

C’è una analogia sorprendente tra il carisma di don Giussani e il magistero espresso anche in questo Natale da Benedetto XVI. Ecco perché il cristianesimo, la Chiesa possono identificarsi con la Liturgia, ma non per esempio con la teologia, tanto meno con una teologia, una esegesi particolare. La Liturgia è l’Hodie, l’oggi del fatto passato: chi nel concepimento e nel patto verginale, soprattutto nel lasciarsi uccidere per amore di ogni uomo ha nascosto allora la divinità, pur sempre divino, oggi Risorto, sacramentalmente presente, nasconde anche l’umanità gloriosa, realmente, corporalmente presente nella forma sostanziale nel suo darsi in persona nell’eucaristia e agente in tutti i sacramenti, parlante attraverso la Scrittura. Apparirà visibilmente nella sua divinità e umanità gloriosa al compimento della storia, e quando in morte verrà incontro a me. Dio dice quasi: So che il mio splendore divino oggi ti spaventa, che di fronte alla mia grandezza di umanità gloriosa tu cerchi di affermare te stesso. Ebbene, vengo dunque a te come bambino, lo stesso nel sacramento perché tu possa liberamente accogliermi e amarmi. Ecco la ragionevolezza del fatto cristiano cioè la sua corrispondenza all’attesa più profonda di ogni uomo del compiacimento di Dio.
Vengono qui i due referenti fondanti della fede, della vita cristiana da ravvivare nell’Anno della fede: la memoria e la presenza.
- la memoria di ciò che è realmente accaduto nel passato,della storicità dell’infanzia di Gesù, del ministero pubblico, della morte,  risurrezione, ascensione, invio dello Spirito;
la presenza continua nella storia, nel mondo,nell’istante vissuto dal credente attraverso la Chiesa nella fonte e nel culmine della Liturgia, del Dio che possiede un volto umano, uomo come noi, Dio con noi, Emmanuele.
Memoria –Presenza è un connubio indissociabile: se non è storica, la presenza cade, e la memoria senza la presenza riduce il cristianesimo a dottrina morale, non a moralità ma a moralsimo; la presenza senza la memoria ad una religione creata dall’uomo. La memoria non è quindi solo nel passato, è memoriale perché il Fatto storico passato è presente; è memoria della presenza del Signore risorto. A Gesù Cristo non subentra un insegnamento, ma subentra la Chiesa. Nessuna sostituzione è possibile. La fede non accade come conseguenza logica di verità astratte ma alla realtà di una presenza viva che si incontra offrendo un orizzonte nuovo. Nulla può sostituire Gesù, né l’istituzione della Chiesa, né la morale evangelica, né il dogma: sono tutte frutto della Memoria-Presenza.
Ecco di nuovo – Benedetto XVI nell’omelia della Notte – mi tocca la parola dell’evangelista, detta quasi di sfuggita, che per loro non c’era posto nell’alloggio…Abbiamo posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è proprio Dio stesso ad essere respinto da noi? Ciò comincia col fatto che non abbiamo tempo per Dio. Quanto più possiamo muoverci, quanto più efficaci diventano gli strumenti che ci fanno risparmiare tempo, tanto meno tempo abbiamo a disposizione. E Dio? La questione che riguarda Lui non sembra mai urgente. Il nostro tempo è già completamente riempito. Ma le cose vanno ancora più in profondità. Dio ha veramente posto nel nostro pensiero? La metodologia del nostro pensare è impostata in modo che Egli, in fondo non debba esistere. Anche se sembra bussare alla porta del nostro pensiero, Egli deve essere allontanato con qualche ragionamento. Per essere ritenuto serio, il pensiero deve essere impostato in modo da rendere superflua l’”ipotesi Dio”. Non c’è posto per Lui. Anche nel nostro sentire e volere non c’è spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente “riempiti” di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri. A partire dalla semplice parola circa il posto mancante nell’alloggio possiamo renderci conto di quanto ci sia necessaria l’esortazione di san Paolo: “Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare!” (Rm 12,2). Paolo parla del rinnovamento, del dischiudere il nostro intelletto(Nous); parla, in generale del modo in cui vediamo il mondo e noi stessi. La conversione di cui abbiamo bisogno deve giungere veramente fino alle profondità del nostro rapporto con la realtà. Preghiamo il Signore affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo”. Comunque in ogni uomo del suo compiacimento.

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