Preghiera mariana

Essere cattolici vuol dire essere mariani e ciò significa l’amore per la madre e nella madre troviamo il Signore anche oggi

“La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende partecipi della storia della salvezza…Questa basilica (santa Maria Maggiore) è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio…Il beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa…
Noi stessi oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia di quella “Porta” Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla Vergine Maria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare “qualsiasi cosa  ci dica” (Gv 2,5), certi della sua fedeltà. Questo è il comportamento essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale sua sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale.
Maria ne costituisce il modello; è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a   riconoscere la nostra identità. La sua vita é un appello a condurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria si è fidata: lei è la “benedetta” (Lc 1,42), che è tale per aver creduto (Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel “settimo giorno”, partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suo cuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa – corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano la vita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei.
Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotocos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesù di Nazareth a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria. In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti. Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele.
All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che impersonano la speranza; sono “il resto santo”, segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta.
Su di lei, vergine, discende la potenza creatrice dello Spirito Santo, lo stesso che “in principio” aleggiava sull’abisso informe (Gen 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dal nulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla sua azione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio quindi di realizzarsi pienamente.
La fede, infatti, non è alienazione; sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti, non da ultimo nelle mille forme della carità” (Benedetto XVI,Discorso ai Vescovi italiani al termine della preghiera del Rosario, 26 maggio 2011).

Dalle apparizioni della Madonna fin dal 1830 lei ci ha richiamato il desiderio di Gesù, il desiderio di Dio stesso, il suo amore per gli uomini, per la creazione, un amore in attesa perché Dio, che è amore non costringe mai. E’ un amore che attende il momento dell’unione, l’amore che vuole attirare gli uomini a sé, per dare compimento con ciò anche al desiderio della stessa creazione: essa, infatti, è protesa verso la manifestazione dei figli di Dio (Rm 8,19). Con le apparizioni la Madonna ci ricorda, in rapporto alle varie circostanze storiche, che Gesù e quindi il Padre, ha desiderio di noi, ci attende. E noi con questo secolarismo culturale che nega ogni finalità trascendente abbiamo veramente chiaro l’originario desiderio di Lui? Si è oscurata in noi la spinta ad incontrarLo? Poiché Dio oggi rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, bramiamo la sua vicinanza, il diventare una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? La Madre degli uomini si preoccupa di trovarli indifferenti a Dio, distratti, pieni di altro. D’altra parte dalle parabole di Gesù sui banchetti sappiamo che Egli conosce la realtà dei posti rimasti vuoti, la risposta negativa, il disinteresse per Lui e per la sua vicinanza. Eppure questa nostra cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza. E Maria, apparendo, sta incontrando. Sono ancora pochi ma per i molti.

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