Perdono

La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono reale ed efficace

“Non è certamente un caso che nelle tre tappe decisive del formarsi della Chiesa, raccontate dai Vangeli, la remissione dei peccati giochi un ruolo essenziale.

- C’è in primo luogo la consegna delle chiavi a Pietro. La potestà a lui conferita di legare e sciogliere, di aprire e chiudere, di cui si parla, è, nel suo nucleo, incarico di lasciar entrare, di accogliere in casa, di perdonare (Mt 16,19).

- La stessa cosa si trova di nuovo nell’Ultima Cena, che inaugura la nuova comunità a partire dal corpo di Cristo e nel corpo di Cristo. Essa diviene visibile per il fatto che il Signore versa il suo sangue “per i molti, in remissione dei peccati” (Mt 26,28).

- Infine il Risorto, nella sua prima apparizione agli Undici, fonda la comunione della sua pace nel fatto che egli dona loro la potestà di perdonare (Gv 20, 19 – 23). La Chiesa non è una comunità di coloro che “non hanno bisogno del medico”, bensì una comunità di peccatori convertiti, che vivono della grazia del perdono, trasmettendola a loro volta ad altri” (Ratzinger Benedetto XVI, Meeting di Rimini 1990).

Se leggiamo con attenzione il Nuovo testamento, scopriamo che il perdono non ha niente in sé di magico; esso però non è nemmeno un far finta di dimenticare, non è “un fare come se non”, non è “buonismo” ma invece un processo di cambiamento del tutto reale, quale lo Scultore divino lo compie.

Il togliere la colpa rimuove davvero qualcosa; l’avvento del perdono in noi si mostra nel sopraggiungere della penitenza. Il perdono è in tal senso un processo attivo e passivo: la potente parola creatrice di Dio su di noi per la consapevolezza del peccato, il dolore, l’impegno del cambiamento e diventa così un attivo trasformarsi. Perdono e penitenza, grazia e propria personale conversione non sono in contraddizione, ma sono invece due facce dell’unico e medesimo evento. Questa fusione di attività e passività esprime la forma essenziale dell’esistenza umana. Infatti tutto il nostro creare, progredire comincia con l’essere creati, con il nostro partecipare all’attività creatrice e ricreatrice di Dio che possiede un volto umano, che ci ama, come singolo e come umanità, fino al perdono: il nucleo della crisi spirituale del nostro tempo ha le sue radici nell’oscurarsi della grazia del perdono, dei confessionali vuoti da una parte e dall’altra.

C’è oggi anche un aspetto positivo del presente: la dimensione morale, etica a livello globale, comincia nuovamente a poco a poco a venir tenuta in onore. Si riconosce, anzi con l’emergenza educativa e la crisi finanziaria è divenuto evidente, che ogni progresso tecnico - scientifico ed economico è discutibile e ultimamente distruttivo, se ad esso non corrisponde una crescita morale ed etica a livello globale. Si riconosce che non c’è riforma dell’uomo e giustizia sociale dell’umanità senza un rinnovamento morale ed etico. Ma l’invocazione di moralità e di eticità rimane alla fine senza energia, poiché i parametri si nascondono in una fitta nebbia di discussioni. In effetti l’uomo non può sopportare la pura e semplice morale, non può vivere di essa: essa diviene per lui una “legge”, che provoca il desiderio di contraddirla e genera il peccato a livello personale, il delitto a livello sociale. Perciò là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto e non vi si crede, non ci si confessa la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai verificarsi per non cadere nella nevrosi.

Si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dal senso di colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Si punta a far sì che non ci sia più alcun senso di colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro sentono che questo non è vero, che il peccato c’è. La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è l’espiazione.

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