Il sacerdote

Il sacerdote nella Chiesa e per la Chiesa

“Il sacerdozio, poiché ha in Cristo la sua radice, è, per sua natura, nella Chiesa e per la Chiesa. La fede cristiana infatti non è qualcosa di puramente spirituale e interiore e la nostra stessa relazione con Cristo non è soltanto soggettiva e privata. E’ invece una relazione del tutto concreta ed ecclesiale. A sua volta, il sacerdozio ministeriale ha un rapporto costitutivo con il corpo di Cristo, nella sua duplice e inseparabile dimensione di Eucaristia e di Chiesa, di corpo eucaristico e di corpo ecclesiale. Perciò il nostro ministero è amoris officium (Sant’Agostino), è l’ufficio del buon pastore, che offre la vita per le pecore (Gv, 14 – 15). Nel mistero eucaristico Cristo si dona sempre di nuovo e proprio nell’Eucaristia noi impariamo l’amore di Cristo e quindi l’amore per la Chiesa.

La Messa: centro della vita del sacerdote

Cari fratelli nel sacerdozio, ripeto con voi le indimenticabili parole di Giovanni Paolo II: “La Santa Messa è in modo assoluto il centro della mia vita e di ogni mia giornata”. E questa dovrebbe essere una parola che ognuno di noi può personalmente dire come parola sua: La Santa Messa è in modo assoluto il centro della mia vita e di ogni giornata. Nello stesso modo, l’ubbidienza a Cristo, che corregge la disubbidienza di Adamo, si concretizza nell’ubbidienza ecclesiale, che per il sacerdote è, nella pratica quotidiana, anzitutto ubbidienza al suo Vescovo. Nella Chiesa però l’ubbidienza non è qualcosa di formalistico; è ubbidienza a colui che è a sua volta ubbidiente e impersona il Cristo ubbidiente. Tutto ciò non vanifica e nemmeno attenua le esigenze concrete dell’ubbidienza, ma assicura la sua profondità teologale e il suo respiro cattolico: nel Vescovo ubbidiamo a Cristo e alla Chiesa intera, che egli rappresenta in quel luogo.

Partecipi della missione di Cristo

Gesù Cristo è stato mandato dal Padre, nella potenza dello Spirito, per la salvezza dell’intera famiglia umana e noi sacerdoti, attraverso la grazia del sacramento, siamo resi partecipi di questa missione. Come scrive l’Apostolo Paolo, “Dio…ha affidato a noi il ministero della riconciliazione…Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,18-20). Così San Paolo descrive la nostra missione di sacerdoti. Perciò, nell’omelia che ha preceduto il Conclave, ho parlato di una “santa inquietudine” che deve animarci, l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, di offrire a tutti quella salvezza che, sola, rimane in eterno” (Al Clero di Roma, 13 maggio 2005).

Farsi tutto in tutti

“Cari fratelli sacerdoti, Cristo risorto ci chiama ad essere suoi testimoni e ci dona la forza del suo Spirito, per esserlo davvero. E’ necessario dunque stare con Lui (Mc 3,14; At 1,21-23). Come nella prima descrizione del “munus apostolicum”, in Marco 3, è descritto quanto il Signore pensava che dovrebbe essere il significato di un apostolo: stare con Lui ed essere disponibile alla missione. Le due cose vanno insieme e solo stando insieme con Lui siamo anche e sempre in movimento con il Vangelo verso gli altri. Quindi è essenziale stare con Lui e così si anima l’inquietudine e ci si rende capaci di portare la forza e la gioia della fede agli altri, di dare testimonianza con tutta la nostra vita e non solo con qualche parola. Valgono per noi le parole dell’Apostolo Paolo: “Non è…per me un vanto predicare il Vangelo: è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo!...Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero…mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9,16-22). Queste parole che sono l’autoritratto dell’apostolo ci danno i ritratto di ogni sacerdote. Questo “farsi tutto a tutti” si esprime nella vicinanza quotidiana, nell’attenzione per ogni persona e famiglia.

L’intima comunione con Cristo

Il farsi tutto a tutti” si esprime nella vicinanza quotidiana, nell’attenzione per ogni persona e famiglia. Naturalmente una tale vicinanza e dedizione ha per ciascuno di voi, di noi, un costo personale; significa tempo, preoccupazioni, dispendio di energie. Conosco questa vostra fatica quotidiana e voglio ringraziarvi, da parte del Signore. Ma vorrei anche aiutarvi, in quanto posso, a non cedere sotto questa fatica. Per poter resistere, e anzi crescere, come persone e come sacerdoti, è fondamentale anzitutto l’intima comunione con Cristo, il cui cibo era fare la volontà del Padre (Gv 4,34): tutto ciò che facciamo, lo facciamo in comunione con Lui e ritroviamo così sempre di nuovo l’unità della nostra vita in tante dispersioni favorite dalle diverse occupazioni di ogni giorno. Dal Signore Gesù Cristo che ha sacrificato se stesso per fare la volontà del Padre, impariamo l’arte dell’ascesi sacerdotale, che anche oggi è necessaria. Essa non va collocata accanto all’azione pastorale, come un peso aggiuntivo che rende ancora più gravosa la nostra giornata. Al contrario, nell’azione stessa dobbiamo imparare a superarci, a lasciare e donare la nostra vita.

Alla presenza di Dio nella preghiera

Cari sacerdoti: perché la nostra azione sia in se stessa la nostra ascesi e il nostro donarsi non rimanga solo un desiderio, abbiamo senza dubbio bisogno di momenti per ritemprare le nostre energie anche fisiche, e soprattutto per pregare e meditare, rientrando nella nostra interiorità e trovando dentro di noi il Signore. Perciò il tempo per stare alla presenza di Dio nella preghiera è una vera priorità pastorale, in ultima analisi la più importante. Ce lo ha mostrato nel modo più concreto e luminoso Giovanni Paolo II, in ogni circostanza della sua vita e del suo ministero. Cari sacerdoti, non sottolineeremo mai abbastanza quanto la nostra personale risposta alla chiamata alla santità sia fondamentale e decisiva. E’ questa la condizione non solo perché il nostro personale apostolato sia fruttuoso ma anche, e più ampiamente, perché il volto della Chiesa rifletta la luce di Cristo (LG 1), inducendo gli uomini a riconoscere e ad adorare il Signore. La supplica dell’Apostolo Paolo a lasciarsi riconciliare con Dio (2 Cor 5,20) dobbiamo accoglierla anzitutto in noi stessi, chiedendo al Signore con cuore sincero e con animo determinato e coraggioso di allontanare da noi tutto ciò che ci separa da Lui ed è in contrasto con la missione che abbiamo ricevuto. Il Signore, siamo sicuri, è misericordioso e saprà esaudirci” (Al Clero di Roma, 13 maggio 2005).

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