Caritas in Veritate, un messaggio universale

La Caritas in veritate è un messaggio universale, di cui tutti ci possiamo fare portatori

Fondamentale, per tutti i capitoli dell’Enciclica, è l’Introduzione che fa emergere i due pilastri del magistero di Benedetto XVI e di tutta la tradizione cattolica cioè la carità nella verità. L’amore, la solidarietà, inteso separatamente dalla verità, si trasforma in sentimento soggettivo privo di orientamento, in impulso ideologico privo di direzione cioè senza sapere quando veramente faccia il bene di ogni persona, della società, della società globale e quanto no. Non sa nemmeno quando faccia il bene del soggetto che lo attua, dentro la realtà sociale in tutti gli ambiti cioè dentro la verità del bene comune: la verità purifica la carità a livello di giustizia commutativa, la solidarietà a livello di giustizia distributiva. Qui emerge il ruolo pubblico del Cristianesimo per il quale è l’incontro personale con Cristo che rende giusti.

Secondo Giampaolo Galli questa purificazione è un antidoto per combattere le facili polemiche antimercato e per contrastare il virus dello statalismo. L’attuale crisi ha indotto alcuni a mettere in discussione il libero mercato e la globalizzazione e parallelamente, con la priorità della giustizia sulla carità e quindi delle istituzioni pubbliche sulla persona, ad attribuire proprietà salvifiche allo stato. Non è questo il cuore della Dottrina sociale. “L’economia e la finanza – Benedetto XVI al n. 36 -, in quanto strumenti, possono essere mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici” ma “il profitto è utile se, in quanto mezzo, è orientato ad un fine che gli fornisca un senso tanto sul come produrlo tanto sul come utilizzarlo” (n. 21). Quindi mercato e finanza sono “di per sé buoni”. E da ciò la Caritas in veritate fa discendere un netto apprezzamento nei confronti della globalizzazione: “La globalizzazione (…) è stato un principale motore per l’uscita del sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per sé una grande opportunità” (n. 33). Addirittura assimilata a una sorta di “anticipazione prefigiuratrice della città senza barriere di Dio” (n.7).

Altro giudizio purificatore, “più forte di tanti luoghi comuni”, della carità, della solidarietà nella verità “E’ tuttavia da ritenersi errata la visione di quanto pensano che l’economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio”. Anzi è vero il contrario: “E’ interesse del mercato promuovere emancipazione” anche se “per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità” (n. 35), cioè non è in grado di far accadere uomini giusti senza i quali non è possibile né giustizia commutativa, né giustizia sociale: la ricerca del vero, del bene, di Dio nel mondo è decisivo per tutta la civiltà umana: e non di un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme, scorgendo tutte le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana. E in questo orizzonte di fede nella cui luce la tendenza al male è originariamente in ogni io umano e non solo nelle strutture, nelle politiche e quindi necessita di redenzione, di liberazione, la Dottrina sociale della Chiesa pone domande sui rischi del mercato, della globalizzazione senza uomini giusti, anche pochi per i molti, che li gestiscono. E in questo orizzonte il Papa condanna il protezionismo, condanna fatta propria dal G8 e dal G20: “Trovo molto significativo che fra le responsabilità dei paesi ricchi si citino ‘gli alti dazi doganali posti dai paesi economicamente sviluppati e che ancora impediscono ai prodotti provenienti dai paesi poveri di raggiungere i mercati dei paesi ricchi” (n. 33). Ma occorre anche rilevare che il sottosviluppo persistente non è nemmeno imputabile soltanto a responsabilità dei paesi ricchi perché, osserva Benedetto XVI al n.22, che nel Terzo mondo “persistono modelli culturali e norme sociali che rallentano il processo di sviluppo.

Punto importante è quando il Papa afferma che occorrono forme di governance globali per una cooperazione che richiede la rinuncia anche formale a pezzi di sovranità verso l’alto –“come già avviene con i processi di globalizzazione”, ma anche cedendo potere agli individui, alla società civile con il ruolo del terzo settore, nell’ambito di un ampio ragionamento sull’economia del dono. Ci sono argomentazioni del tutto condivisibili sul ruolo delle organizzazioni sindacali e non solo dei lavoratori, vista la sottolineatura sul binomio imprenditorialità – etica: “L’imprenditorialità ha e deve sempre più assumere un significato plurivalente. La prevalenza del binomio mercato – Stato ci ha abituati a pensare esclusivamente all’imprenditore privato di tipo capitalistico da un lato e al dirigente statale dall’altro (…)L’imprenditorialità, prima di avere un significato professionale, ne ha uno umano”, in vista dello sviluppo del capitale umano necessario come e più delle materie prime. “A ogni lavoratore sia offerta la possibilità di dare il proprio apporto in modo che egli stesso sappia lavorare in proprio” . Questa è certamente una sfida sia per le organizzazioni sindacali, come per il sistema delle imprese. Una sfida da accogliere come tensione anche se il cammino da percorrere è lungo perché si intravede finalmente una convergenza culturale cui giunge la scienza economica, o almeno una sua parte rilevante e la valutazione morale. Ovvero originariamente non c’è contrasto ma complementarietà fra sviluppo materiale e sviluppo etico dal momento che per ogni uomo, come per i popoli nel loro insieme, lo sviluppo è vocazione cioè progetto che viene da Dio e quindi una necessità per tutti. Ovviamente di per sé lo sviluppo materiale vero non può non tendere, non richiedere lo sviluppo etico e viceversa. Ogni uomo, a maggior ragione se imprenditore intelligente e colto, non può smettere la sua responsabilità di orientare lo sviluppo materiale in una direzione coerente con lo sviluppo etico. E qui entra il contributo indispensabile a livello educativo snche dell’opera pastorale della Chiesa affinché l’incontro con la Persona viva di Gesù Cristo renda giusti gli uomini. E ai parroci romani che denunciavano i pochi che convengono nella comunità parrocchiale il Papa ha osservato che Dio raggiunge i molti per tutti attraversi i pochi.

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