Continuità

Comunione con l’ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità

“L’”Anno Sacerdotale (19 giugno 2009, festa del Sacro Cuore -2010) per far percepire sempre più l’importanza del ruolo e della missione del sacerdote nella Chiesa e nella società contemporanea…Una tale dimensione ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale è assolutamente indispensabile ad ogni autentica missione e, sola, ne garantisce la spirituale efficacia. I quattro aspetti menzionati (ecclesiale, comunionale, gerarchica e dottrinale) devono essere sempre riconosciuti come intimamente correlati…Le dimensioni “gerarchica” e “dottrinale” suggeriscono di ribadire l’importanza della disciplina (il termine si collega con “discepolo”) ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente.

La consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali degli ultimi decenni deve muovere le migliori energie ecclesiali a curare la formazione dei candidati al ministero. In particolare, deve stimolare la costante sollecitudine dei Pastori verso i loro primi collaboratori, sia coltivando relazioni umane veramente paterne, sia preoccupandosi della loro formazione permanente, soprattutto sotto il profilo dottrinale. La missione ha le sue radici in special modo in una buona formazione, sviluppata in comunione con l’ininterrotta Tradizione ecclesiale, senza cesure né tentazioni di discontinuità” (Benedetto XVI, Ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione del Clero, 16 marzo 2009).

Con la sua Lettera del 12 marzo 2009 Benedetto XVI si rivolge ai Vescovi come persone e li invita ad essere uniti e a favorire in tutti ma soprattutto nei sacerdoti una ricezione dei testi del Concilio Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa. Il Concilio Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa come il Catechismo e il suo Compendio la propone. Chi vuol essere obbediente al Concilio deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può negare le radici di cui l’albero vive. Non si può negare la Tradizione come fonte di verità nella Chiesa e soprattutto non si può rimuovere il Papato come autorità suprema nella Chiesa fondata sul carisma petrino. Una sincera riflessione circa la propria fedeltà alla Tradizione della Chiesa autenticamente interpretata dal magistero ecclesiastico, ordinario e straordinario, specialmente nei Concili ecumenici da Nicea al Vaticano II non è, come afferma Hans Kung, la “cattiva essenza” della Chiesa ma la certezza della fede cattolica completa. Nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società la chiarezza e la bellezza della Dottrina cattolica come la presenta il Catechismo e il suo Compendio sono ciò che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi. Con un rinnovato impegno, coinvolgendo teologi e vescovi di tutto il mondo, di approfondimento, nel quale si metta in luce la continuità del Concilio con la Tradizione della Chiesa tutti possono trarre un rinnovato ed efficace convincimento della necessità di migliorare tale fedeltà, rifiutando interpretazioni erronee ed applicazioni arbitrarie e abusive, in materia dottrinale, liturgica e disciplinare, senza “ questo mordere e divorare” che esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. E’ forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati (5,13-15)? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore?

La tendenza a intendere il Vaticano II come un nuovo inizio della Chiesa provoca quel tradizionalismo che congela l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962

Benedetto XVI con il suo Motu proprio che legittima la forma straordinaria del rito cattolico educa al carattere perenne della liturgia tradizionale e quindi è l’occasione di compiere un grande gesto: cioè quello di confermare l’interpretazione del Concilio come continuità e quindi estinguere lo scisma che l’idea del Concilio come discontinuità aveva suscitato. Ciò offre non solo alla fraternità di san Pio X un cammino di ritorno all’unità, convertendosi da irrigidimenti, da saccenteria, da fissazioni su unilateralismi di alcuni, quanto di quella vasta e prevalente parte del mondo cattolico che aveva sentito il monopolio di teologi progressisti nella interpretazione del Vaticano II come qualcosa che toglieva loro la dimensione ecclesiale della loro fede cattolica.

E Benedetto XVI osserva che ogni ideologia ha bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto di tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo. La Lettera ha mostrato non lo stile di un funzionario ma di un uomo che ha detto con molta franchezza, tra l’altro, di essere stato ferito perché un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò nel suo contrario. E questo ha colpito molto.

Manfred Lutz, una delle più autorevoli voci del laicato cattolico in Germania, su Avvenire di Domenica 15 marzo, constata: “Come psichiatra e psicoterapeuta so bene cos’è l’intolleranza dei tolleranti. Ci sono persone che si ritengono tolleranti e non vedono la propria intolleranza, che è esclusa dal loro modo di concepirsi. Questa psicologia si è vista prepotentemente in questo caso. Anche quando venivano portati chiarimenti inequivocabili (come il principio di Tradizione e il fondamento del carisma petrino). E’ stato fatto notare più volte, per esempio, come il Papa abbia tolto la scomunica non solo ai lefebvriani ma anche ai vescovi legati al partito comunista cinese. E comprensibilmente, perché tra i compiti di un Pontefice, servitore e garante dell’unità della Chiesa, c’è quello di sanare divisioni che durano nel tempo. I progressisti radicali e la fraternità San Pio X usano entrambi lo stesso paradigma nell’interpretazione del Concilio. Entrambi leggono il Vaticano II come una rottura, in senso negativo o positivo. Un paradigma che non è cattolico. Quello cattolico riconosce una tradizione che non si interrompe ed è viva. Benedetto XVI ha operato per riaffermare questa visione toccando un nervo scoperto e suscitando reazioni aggressive da parte tradizionalista e da parte progressista...In Germania, una volta c’era tensione fra cattolici e protestanti. Oggi c’è un buon clima. Ma l’aggressività tra cattolici e protestanti è passata all’interno del cattolicesimo stesso, tra conservatori e progressisti. Anche all’interno del mondo riformato è avvenuta una cosa simile con la divisioni tra protestanti ed evangelici. Con alleanze inedite: i progressisti cattolici e i protestanti hanno contestato il Papa, mentre una delle difese decisive di Benedetto XVI è venuta da Idea, la rivista più importante del mondo evangelico”.

Alla domanda: “Alle volte viene da pensare che da parte di qualcuno ci sia una insofferenza o un odio del Papa in quanto tale, ogni qualvolta si permette di esercitare la propria autorità petrina”. La risposta: “E’ vero. Usando una chiave di lettura psicologica, nella nostra società senza padre, come l’ha definita Alexander Mitscherlich, la Chiesa cattolica ( quella appunto governata da un Santo Padre) è pressoché l’unica istituzione contro cui si può protestare. Essa attira su di sé l’aggressività di coloro che non hanno più padre contro cui scagliarsi. Ma la paternità di Benedetto XVI è, in verità, tutto fuorché autoritaria. Con il suo stile amabile e misericordioso, questo Papa è l’esatto contrario di un “Panzerkardinal”, come amavano chiamarlo. Tra l’altro proprio coloro che oggi godrebbero nel vedere dei cristiani scomunicati”.

Ma il papa è solo come tanti dicono? “Penso che come ogni uomo che è stato ferito, in questo momento si possa sentire solo. Ma è anche vero che un uomo che reagisce come ha fatto nella sua Lettera, e mi riferisco anche all’attenzione che ha avuto nel ringraziare chi lo ha sostenuto, dimostra di saper bene di non essere solo. Va poi definitivamente sfatata l’idea secondo cui Benedetto XVI sarebbe estraneo al mondo di oggi. Mentre è un teologo che ha passato tutta la vita ad analizzare, con una sensibilità impressionante, la cultura contemporanea”.

E in Italia chi porta avanti l’idea del Concilio come discontinuità?

In Italia – così valuta Gianni Baget Bozzo su il Giornale del 17 marzo 2009 – opera la scuola di Bologna, fondata da don Giuseppe Dossetti, che si fonda come idea fondamentale sul concetto che Paolo VI ha deformato e svuotato l’idea di riforma ecclesiale della Chiesa iniziata da Giovanni XXIII e che vi è una contraddizione vivente tra il fondatore Giovanni e il deformatore Paolo.

“Giuseppe Alberigo nella sua storia del Vaticano II ha costruito l’informazione sul Concilio alla luce della grande rottura tra Giovanni e Paolo ed è quindi l’espressione dell’odio teologico nei confronti dell’opera di Benedetto di interpretare il Concilio come un concilio che ha riespresso alcuni ripensamenti del linguaggio, ma ha mantenuto il pieno valore della struttura dogmatica e dottrinale della Chiesa cattolica dei due millenni. La scuola di Bologna, potenziata dalla forma teologica del San Raffaele di Milano, è il cuore di questo sentimento di rigetto anche in Italia e nell’Episcopato italiano. Nei mezzi di informazione come nella Chiesa. Ciò opera soprattutto nelle edizioni paoline”.

Si può condividere come non condividere la valutazione di Baget Bozzo, comunque oggi, e questo è positivo, si ritorna da parte di tutti a parlare del Concilio, del dialogo tra ebrei e cristiani e della Nostra Aetatae. Il ruolo del Papa è percepito sempre più come pastorale cioè preoccupato che in vaste zone la fede sia in pericolo, puntando a rendere presente Dio in questo mondo e aprire gli uomini a Dio che ha parlato sul Sinai e che in Gesù Cristo crocifisso risorto, presnete nella e attraverso la sua Chiesa ci ama ogni singolo l’umanità nel suo insieme. Pur discreto nella dimensione sociale della fede per alcuni resta irritante. Infine, per quanto riguarda la Fraternità di san Pio X, che ha mostrato molta arroganza fino a poco tempo fa, il fatto che l’affaire Williamson abbia fatto soffrire visibilmente Benedetto XVI, li ha indubbiamente colpiti. Lo si è visto nelle reazioni di Fellah e degli altri laider. E questo li ha portati a una moderazione di toni inedita. Sempre la sofferenza per i cristiani, può avere frutti salvifici. Per Benedetto XVI, però, “impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme è fecondo…Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti, così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme”. E’ questa la speranza.

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