Cirillo e Metodio

Cirillo e Metodio costituiscono un esempio di ciò che oggi si indica col termine “inculturazione”

“Traducendo la liturgia nella lingua slava, i due fratelli nel sangue e nella fede, Cirillo e Metodio, guadagnarono una grande simpatia presso il popolo.

Questo, però, suscitò nei loro confronti l’ostilità del clero franco, che era arrivato in precedenza in Moravia e considerava il territorio come appartenente alla propria giurisdizione ecclesiale. Per giustificarsi, nell’867 i due fratelli si recarono a Roma. Durante il viaggio si fermarono a Venezia, dove ebbe luogo un’animata discussione con i sostenitori della cosiddetta “eresia trilingue”: costoro ritenevano che vi fossero solo tre lingue in cui si poteva lecitamente lodare Dio: l’ebraica, la greca e la latina. Ovviamente, a ciò i due fratelli si opposero con forza. A Roma Cirillo e Metodio furono ricevuti da Papa Adriano II, che andò loro incontro in processione per accogliere le reliquie di san Clemente. Il Papa aveva anche compreso la grande importanza della loro eccezionale missione. Dalla metà del primo millennio infatti, gli slavi si erano installati numerosissimi in quei territori posti tra le due parti dell’Impero Romano, l’orientale e l’occidentale, che erano già in tensione tra loro. Il Papa intuì che i popoli slavi avrebbero potuto giocare il ruolo di ponte, contribuendo così a conservare l’unione fra i cristiani dell’una e dell’altra parte dell’impero. Egli quindi non esitò ad approvare la missione dei due Fratelli nella Grande Moravia, accogliendo e approvando l’uso della lingua slava nella liturgia.

In effetti, Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine “inculturazione”: ogni popolo deve calare nella propria lingua il messaggio rivelato ed esprimere la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio. Questo suppone un lavoro di “traduzione” molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata. Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento” (Bendetto XVI, Udienza Generale,17 giugno 2009).

Le comuni radici delle nazioni europee

In un messaggio di Giovanni Paolo II al Vescovo di Verona, Giuseppe Amari, del 2 aprile 1983 sottolinea l’importanza della celebrazione del millesimo anniversario della consacrazione episcopale di Sant’Adalbetro, Vescovo di Praga, avvenuta a Verona nel 983.

E coglieva in questo avvenimento una ricorrenza estremamente significativa per mettere in luce il legame tra le Nazioni dell’Occidente e dell’Oriente Europeo nella fede cristiana, base di un’unica cultura e civiltà.

Sant’Adalberto, infatti, è di origine slava: il suo nome di Battesimo era “Vojtech”, che significa “consolazione dell’esercito”, e sotto questo nome è soprattutto conosciuto presso gli Slavi. La sua prima formazione dipese dalla spiritualità cirillo – metodiana, irradiata nella Boemia della confinante Grande Moravia. Successivamente, a tale spiritualità si congiunse, nella sua persona, quella occidentale, rappresentata al suo tempo da l movimento cluniacense, facente capo a san Benedetto.

“Si tratta – come ebbe a dire Giovanni Paolo II il 6 novembre 1981 al Colloquio internazionale su “Le comuni radici cristiane delle Nazioni europee – in certo senso di “due forme di cultura diverse, ma allo stesso tempo profondamente complementari: la cultura benedettina, “più logica e razionale”; quella dei due Santi Fratelli greci, “più mistica e intuitiva”. Entrambe hanno concorso e tuttora concorrono, in forza di tale mutua complementarietà, al mantenimento e al rafforzamento dell’unità spirituale e culturale dell’Europa. Già nell’Omelia che pronunziai a Gniezno, il 3 giugno 1979, non potei non attestare pubblicamente la riconoscenza che tutti i popoli slavi, e la mia patria in particolare, debbono al Santo vescovo e Martire boemo Adalberto. Infatti proprio a Gniezno ricevettero una prima accoglienza le sue reliquie…Nella medesima Omelia, aggiunsi: ‘Questo Papa porta in sé stesso l’eredità di Adalberto”. Si tratta dunque di un Santo molto caro e noto al centro Europa, e la cui celebrazione solenne, oggi a Verona, Città di tradizionali rapporti intereuropei, potrà indubbiamente servire a ritrovare le antiche comuni sorgenti, affinché la “consapevolezza di questa comune ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del Continente europeo, aiuti le generazioni di ogni Nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l’umanità e al futuro dell’uomo su tutta la terra” (Lettera Apostolica “Egregiae virtutis, 31 Dicembre 1981 con cui Giovanni Paolo II dichiarava compatroni di Europa con san Benedetto Cirillo e Metodio).

“L’esempio di Sant’Adalbetro si presenta quindi oggi più che mai valido in un’Europa che, pur conservando il tesoro inestimabile della Verità cristiana, vede tuttavia sorgere nel proprio seno, in varie forme, i fermenti di dissoluzione propri di quel pensiero pagano che era stato superato dalla novità del Vangelo, grazie all’opera generosa – diciamo pure – eroica dei primi missionari, trai quali appunto Cirillo e Metodio e il santo Patrono di Praga.

“Oggi, sul loro esempio, occorre riproporre il medesimo messaggio, in forme certo adatte agli uomini del nostro tempo;e mostrare come il Cristianesimo non è un’esperienza storica superata da nuove forme di redenzione umana, ma è, resta e sarà sempre la “novità” per eccellenza, al di là di tutti i ritrovati che l’uomo, con le sole sue forze, saprà escogitare nel corso della storia.

“Se cediamo alla tentazione di lasciare il Cristianesimo per “ideologie” di questo mondo, pensando di trovarle più “avanzate” o più efficaci, in realtà non andiamo avanti, ma torniamo indietro. Questo dovrebbe insegnarci la recente storia europea, nella quale si può constatare che l’acconsentire a quella tentazione non è stato senza rapporto con le catastrofi nelle quali essa è precipitata, sperimentando forme di barbarie sconosciute agli stessi antici pagani.

“L’esempio di Sant’Adalberto e degli altri grandi fondatori dell’Europa cristiana ci incoraggia a cercare e a trovare una nuova inculturazione cioè ‘una piattaforma d’incontro tra le varie tensioni e le varie correnti di pensiero, per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all’uomo, al “singolo” che cammina per vari sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione dell’esistenza’ (Ibid., n.3)”.

Questa lucida argomentazione di Giovanni Paolo II sull’urgenza di una nuova inculturazione in rapporto alla tecnoscienza si apre oggi anche al fenomeno travolgente del meticciato per il peso dell’immigrazione. Siccome credere è conoscere, pastoralemnte per la nuova evangelizzazione, urgono anche teologi che sappiano assumere dalla cultura di questo ambiente elementi che permettano di mettere meglio in luce l’uno e l’altro aspetto della fede. Un tale compito è certamente arduo e comporta dei rischi, ma è in se stesso legittimo e va incoraggiato. Questo suppone un lavoro di “traduzione” molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata, trasmessa ed interpretata nella Chiesa sotto l’autorità del Magistero, ed accolta con fede.

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