Pace in Terrasanta

Il contributo specifico della Chiesa e della Santa Sede alla pace

“Noi non siamo un potere politico ma una forza spirituale e questa forza spirituale è una realtà che può contribuire per i progressi nel processo di pace. Io vedo tre livelli.

-          Il primo è che siamo convinti che la preghiera è una forza, apre il mondo a Dio e siamo convinti che Dio ascolta e può agire nella storia. Se milioni di credenti pregano, è realmente una forza che influisce e può contribuire per andare avanti con la pace.

-          Secondo punto: noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze. Coscienza è la capacità di ogni uomo di percepire la verità. Ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. Liberare da questi interessi, aprire più alla verità per i veri valori è impegno grande, è un compito della Chiesa aiutare chi conosce i veri criteri, i valori veri e liberarci da interessi particolari.

-          Terzo punto: parliamo anche alla ragione. Proprio perché non siamo parte politica possiamo quasi più facilmente nella luce della fede vedere i criteri veri, aiutare a capire quanto contribuisce alla pace e appoggiare le posizioni realmente ragionevoli e questo abbiamo fatto e vogliamo fare anche adesso e in futuro” (Benedetto XVI, Intervista da Roma ad Amman, 8 maggio 2009).

 

Benedetto XVI come teologo ha riflettuto in modo particolare sulla radice unica che accomuna cristiani ed ebrei. Quale futuro nel dialogo fra queste due comunità?

In realtà cristiani ed ebrei hanno la stessa radice, stessi i libri dell’Antico Testamento, che sono sia per gli ebrei che per i cristiani libri attraverso i quali la Rivelazione, la Parola di Dio continua anche oggi.

Ma naturalmente dopo 2000 anni di storie distinte, anzi separate non è da meravigliarsi che ci siano malintesi perché si sono formate tradizioni di interpretazione, di linguaggio e di pensiero molto diverse per così dire un cosmo semantico molto diverso, cosicché le stesse parole significano dalle due parti cose diverse, e dallo stesso uso di parole che nel corso di una storia hanno formato significati diversi e quindi sorgono malintesi.

Occorre fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro e oggi sono possibili grandi progressi, oggi si ha la possibilità che i futuri insegnanti di teologia possano studiare a Gerusalemme  nell’università  ebraica, e gli ebrei abbiano contatti accademici con i cristiani. E così avvengono incontri tra cosmi semantici diversi, si impara vicendevolmente e prosegue la strada del dialogo, si impara l’una dall’altro e non possono mancare progressi che aiutano anche alla pace, anzi all’amore reciproco.

 Oltre al dialogo con l’ebraismo c’è anche il dialogo interreligioso con l’islam ed è possibile un messaggio comune che riguarda le tre religioni che si richiamano ad Abramo.

Esiste un messaggio comune con l’occasione di farlo nonostante le diversità delle origini. C’è la consapevolezza delle radici comuni perché il cristianesimo nasce dall’Antico Testamento e la Scrittura del Nuovo testamento senza l’Antico non esisterebbe, perché si riferisce in continuazione all’Antico Testamento. Ma anche l’Islam è nato in un ambiente dove era presente sia la legge dell’ebraismo sia diversi rami del cristianesimo, giudeo cristianesimo, cristianesimo antiocheno, bizantino e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica così che abbiamo insieme tanto dalle origini  e nella fede nell’unico Dio.

Perciò è importante avere da una parte i dialoghi a due parti con ebrei e l’islam, dall’altro il dialogo trilaterale. “Io stesso – ha sottolineato Benedetto XVI – ero confondatore di una formazione per il dialogo tra le tre religioni con personalità come Damaskinos, greco; Abbiserati, ebreo di Parigi, ecc.. Eravamo insieme in questa fondazione. Abbiamo anche fatto un’edizione dei libri delle tre religioni, il Corano, il Nuovo Testamento e l’Antico Testamento. Quindi il dialogo trilaterale deve anche procedere e contribuisce alla pace e anche per vivere bene ognuno la propria religione”.

 Diminuiscono i cristiani in Medio Oriente e in particolare nella Terra santa. Cosa si può fare per aiutare la presenza cristiana nella regione?

Ci sono speranze. Il momento è difficile ma è anche un momento di speranza per un nuovo inizio, di un nuovo slancio per la pace. Si tratta soprattutto di incoraggiare i cristiani in Terra santa e in medio Oriente a rimanere e contribuire a loro modo proprio perché sono Paesi delle loro origini, sono componente importante della cultura e della vita di questa regione. In concreto la Chiesa oltre alla parola di incoraggiamento e la preghiera comune opera soprattutto in scuole e ospedali. C’è una presenza  con realtà molto concrete. Le scuole formano una generazione che avrà la possibilità di essere presente nella vita pubblica. Significativa la creazione di una università cattolica in Giordania. E’una grande prospettiva dove i giovani sia arabi, sia mussulmani, sia cristiani si incontrano e studiano insieme, si forma un’élite cristiana preparata proprio per lavorare per la pace. Le nostre scuole sono molto importanti per aprire il futuro ai cristiani. E gli ospedali per la salute offrono la loro significativa presenza. Ci sono molte associazioni cristiane, movimenti che aiutano in diversi modi i cristiani. Con aiuti concreti si incoraggiano i cristiani a rimanere. “Spero – ha concluso Benedetto XVI – che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà e la pazienza di stare in questi Paesi, di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi”.

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